Stop alla teoria della “madre malevola”: perché la sindrome da alienazione parentale non esiste
La teoria, già oggetto di censura da parte della Cassazione lo scorso 17 maggio, è stata esclusa dal nostro ordinamento dalla riforma del processo civile
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La cosiddetta sindrome da alienazione parentale (Pas), o della “Madre malevola' in base alla quale in passato dei minori sono stati sottratti alla madre durante i processi di separazione e divorzio, non avrà più cittadinanza nei tribunali italiani. Ad escludere questa teoria, giunta dall'America ma contestata dalla comunità scientifica, è la riforma del processo civile, su cui il governo ha posto la fiducia in Senato.
La teoria smentita
La teoria era stata già oggetto di censura da parte della Cassazione lo scorso 17 maggio. Ad escludere questa contestata teoria dai futuri processi è stato un emendamento alla riforma presentato dalle senatrici della Commissione d'inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente. Intervenendo in Aula, Valente ha spiegato il meccanismo: 'Una donna subisce violenza per anni e a un certo punto, anche per tutelare i figli, decide di porre fine civilmente a quella relazione. L'uomo si sente attaccato e reagisce con lo strumento più forte, l'uso dei figli. Quando il figlio rifiuta di vedere il padre, questo su suggerimento dell'avvocato accusa la madre di alienazione parentale, e alla donna vengono sottratti i figli, che lei voleva tutelare dalla violenza'.
Accertamenti non misure automatiche
Infatti secondo la sindrome della madre malevola o della alienazione parentale, il minore non vuole vedere il padre perché gli viene inculcato l'odio per il genitore da parte della madre, che quindi non risulterebbe più adeguata nell'educazione del figlio, con conseguente affido del minore a una famiglia esterna se non addirittura al padre violento. La riforma prevede che se un minore rifiuta di incontrare un genitore 'il giudice, personalmente, sentito il minore e assunta ogni informazione ritenuta necessaria, accerta con urgenza le cause del rifiuto'. Quindi la riforma responsabilizza il giudice che non si affiderà più esclusivamente a un consulente.
Nel superiore interesse del minore
A quel punto il giudice 'assume i provvedimenti nel superiore interesse del minore, tenendo conto - nella determinazione dell'affidamento dei figli e degli incontri con i figli - di eventuali episodi di violenza. In ogni caso, viene garantito che gli eventuali incontri tra i genitori e il figlio siano, se necessario, accompagnati dai servizi sociali e non compromettano la sicurezza della vittima'. Quindi, seguendo anche le Convenzioni internazionali, il 'superiore interesse del minore' prevale sul principio della bigenitorialità, oggi diffuso nella giurisprudenza italiana. In ogni caso se il giudice vuole ricorrere al parere di un consulente, la nomina dovrà avvenire 'con provvedimento motivato, indicando gli accertamenti da svolgere'. Il consulente, inoltre, 'si attiene ai protocolli e alle metodologie riconosciuti dalla comunità scientifica' (mentre Pas e Mms non lo sono), 'senza effettuare valutazioni su caratteristiche e profili di personalità estranee agli stessi'.