L'altro modo di viaggiare, Stefania ed Emanuele: 'I nostri zaini come casa ma non siamo travel blogger'

Dalla Thailandia i due viaggiatori rispondono alle nostre domande e spiegano: 'Ciò che ci ha spinto a “mollare tutto” è stato il fatto di esserci stancati della routine italiana. Abbiamo lavorato entrambi per circa 20 anni, messo da parte un po’ di soldi, vissuto senza spendere in cose superflue. Nessuno zio d’America o genitore facoltoso'

di Paola Babich

'Per noi la condivisione e l’interazione sono basilari per crescere come persone e come cittadini del mondo'. Parola di Stefania, 39 anni, ed Emanuele, 41.

Coppia “on the road” e nella vita, hanno deciso di lasciare il loro paese di origine, nella bergamasca, e di trasformare due zaini nella loro casa. Il loro obiettivo? Viaggiare, stare insieme e raccontare la realtà di ogni giorno senza filtri di nessun genere: da qui l’idea di Radical Trip 

Turisti da “social”, quindi… Nient’affatto: sul loro profilo amano narrare le loro esperienze, lontane dalla routine, in maniera sincera, senza elargire, come sottolineano, “frasi motivazionali da guru”.

Ora si trovano nel Sud-est asiatico, ecco la nostra chiacchierata.

Quando è nata l’idea di questa avventura, cosa vi ha spinto a partire?

«L’idea di partire ci frullava in testa già dal 2019, in realtà il nostro viaggio sarebbe dovuto iniziare proprio ad aprile del 2020. Avevamo organizzato tutto, con tanto di biglietto di sola andata per Tokyo tra le mani; poi, purtroppo, quasi la fine del mondo. Per quanto ci riguarda, la pandemia e le conseguenti misure di contenimento sono stati la miccia che ha innescato definitivamente una bomba nel nostro cervello. Parlando più in generale, ciò che ci ha spinto a “mollare tutto”  è stato semplicemente il fatto di esserci stancati della routine italiana. Abbiamo lavorato entrambi per circa 20 anni, messo da parte un po’ di soldi, vissuto senza spendere in cose superflue; quindi, nessuno zio d’America e nessun genitore facoltoso. A tutto questo vanno aggiunte la nostra innata curiosità e il desiderio di scoprire il mondo da ogni punto di vista: culturale, culinario e storico. Può sembrare una risposta banale, e infatti lo è, ma alla fine le motivazioni che si nascondono dietro ad un passo che può sembrare grandissimo non sono quasi mai pipponi filosofici o desideri di guarigione interiore. Non si guarisce da nessuna malattia e non si risolve nessun problema prendendo un aereo e volando a 10mila chilometri di distanza. Questa è soltanto una scelta pratica, dettata dalla voglia di scoperta. Per il resto i problemi li abbiamo anche qui in Asia, lo possiamo assicurare».

Quali sono i motivi che vi conducono a una meta piuttosto che a un’altra?

'Sicuramente c’è una sorta di filo rosso che lega le nostre vite all’Asia, siamo sempre stati attratti da questo grandissimo continente, in tutte le sue sfaccettature. Il destino, o meglio il caso, ha voluto che ci fosse fosse in primis proprio la Thailandia, in quanto primo Stato ad allentare le restrizioni. Un caso che comunque ci ha portato bene, visto che, alla fine, ce ne siamo perdutamente innamorati, tanto da tornarci una seconda volta nel giro di qualche mese. Per il resto ci muoviamo un po’ dove è più conveniente, sia a livello logistico che geopolitico ed economico, non ci precludiamo nulla a prescindere'.

Cosa vi è piaciuto e vi sta piacendo maggiormente, dal punto di vista naturalistico, paesaggistico, artistico, culinario, ma anche umano?

«Hai presente il caos? Può sembrare assurdo, ma quando ti trovi catapultato in un posto dove la vita scorre in modo diametralmente opposto a come sei abituato, è impossibile non restarne sconvolti. In positivo o in negativo. Per quanto ci riguarda, la confusione tipica delle città del sud est asiatico ci ha colpito positivamente, tanto che ora crediamo di non poterne più fare a meno. Come viaggiatori non abbiamo mai nascosto di essere più attratti dall’opera dell’uomo che da quella della natura, ecco perché, spesso, ci fermiamo per settimane nelle grandi città. È l’unico modo per assaporarne appieno l’autenticità. Capire una determinata metropoli è un fatto di testa e poi di cuore, è immergersi all’interno di essa; ogni suo strato va assorbito e metabolizzato, altrimenti ne verrai solo risucchiato e sputato fuori. Certo, ci è capitato di visitare anche paradisi naturali, come spiagge, isole, la giungla... Ma dobbiamo ammettere che nessuna di queste esperienze ci ha trasmesso le stesse sensazioni e vibrazioni di città come Bangkok, Kuala Lumpur e Giacarta. Per quanto mi riguarda - precisa Ema - essendo un fotografo, in una città trovo moltissimi stimoli, ogni angolo è una scoperta ed ogni viso ritratto è un’emozione. Forse trovo più banale il classico paesaggio, un’espressione invece è mille volte più genuina e unica.

Umanamente è molto difficile diventare amico di un locale, ti possono aiutare, possono condividere con te un frutto o uno sguardo, ma entrare realmente in contatto con loro è semplice solo a livello superficiale. Non fraintenderci, sulla nostra strada abbiamo avuto il piacere di incontrare persone magnifiche, ma ogni incontro, anche se durato settimane, è sempre rimasto ad un livello poco profondo. Il cibo? Qui è tutto su un altro livello: sapori, consistenze, abbinamenti... Pietanze mai assaggiate prima che ci hanno letteralmente travolto. Piatti che possono sembrare semplici e poco gustosi ma che, ti assicuriamo, nascondono un intero universo di sapori e tradizioni».

Cosa avete scoperto -e state scoprendo- di voi stessi?

«Niente! Adesso ci spieghiamo meglio. Purtroppo si crede che il viaggio sia la panacea di tutti i mali. In realtà, dopo quasi un anno, abbiamo capito che una persona i problemi pregressi se li porta dietro, anche lontano da casa. Senza contare che, durante il viaggio stesso, ne possono nascere altri. Cambiare luogo può aiutare, ma non risolve nulla. Anzi, a volte, peggiora la situazione. E lo diciamo per esperienza. Perché subentrano altre preoccupazioni, ansie, incertezze... Non esiste nessuna cascata a Bali sotto la quale si ha l’illuminazione divina; nessun tempio thailandese in cui si riceve la risposta a tutte le domande del mondo; nessun santone indiano in grado di renderti felice per sempre. Si tratta sempre e solo di trovare un delicato equilibrio tra quello che ci fa stare bene e quello che non ci fa stare troppo male. Alla fine è tutto molto lineare, come quel gioco in cui devi unire i puntini per creare una figura. Ecco, il viaggio è una cosa semplicissima, devi solamente spostarti e capire dove ti senti a tuo agio, senza però aspettarti alcun miracolo. Nel mio caso - aggiunge Stefania - una cosa per cui il viaggio mi sta aiutando non poco è il mio lavoro da scrittrice. Non solo perché riesco a ritagliarmi momenti di pace e tranquillità durante il nostro girovagare, ma anche perché vedere posti nuovi ed incontrare persone diverse mi dà quell’ispirazione che spesso a casa non riuscivo a trovare. Ora sto scrivendo il mio terzo romanzo e lo sto facendo con molta più creatività».

Quali sono gli aspetti più difficili e quelli più gratificanti di questa vostra avventura?

«Parlando di cose pratiche, a metterci maggiormente in difficoltà, un giorno sì e l’altro pure, è sicuramente la barriera linguistica. Nei paesi in cui siamo stati, soprattutto nelle zone meno turistiche, l’inglese si parla poco o niente. Quindi farsi comprendere diventa difficile, e a volte anche abbastanza snervante, soprattutto quando sei stanco, hai fame o hai fretta.

Dall’altro lato non ci preoccupa per niente vivere in posti modesti o mangiare in ristoranti che possono sembrare poco igienici, anzi, i migliori piatti li abbiamo assaggiati proprio in luoghi così. Quindi da questo punto di vista non possiamo lamentarci, era proprio come lo avevamo immaginato. E tutto ciò lo si nota sul nostro profilo Instagram, dove mostriamo come mangiare sia il nostro sport preferito! E le soddisfazioni non mancano: anche solo apprendere qualche parola nella lingua del paese in cui stiamo viaggiando ci rende estremamente orgogliosi di noi stessi. Abbiamo imparato a gioire delle piccole cose, e questo, nella nostra vita passata in Italia, non era sempre scontato.

E poi viaggiare arricchisce in cultura, rispetto, empatia. Tutte cose che si acquisiscono di giorno in giorno, vivendo a stretto contatto con le persone del posto. Un’altra cosa bella è il fatto di essere riusciti a creare una piccola ma fedele community social che ci segue con affetto, ci chiede consigli di viaggio e ci sostiene con entusiasmo». 

Se doveste descrivere Radical Trip, cosa direste? Cosa vi piace trasmettere a chi vi segue?

'Radical Trip è, semplicemente, Stefania + Emanuele, la quotidianità vissuta dall’altra parte del mondo, senza effetti speciali. Aggiorniamo il nostro profilo Instagram giornalmente (@radicaltrip.it), per condividere con gli altri, come in una sorta di diario virtuale, ciò che facciamo, per fornire informazioni pratiche, raccontando i lati positivi e anche quelli meno positivi del viaggio».

Booking.com

Ci sono tanti “travel blogger”: voi come vi definireste, per cosa vi caratterizzate?

'Se c’è una cosa in cui ci differenziamo dai travel blogger - termine nel quale non ci identifichiamo assolutamente!- è proprio questa: odiamo la patina glamour con cui di solito raccontano le loro avventure. Tutto deve sempre essere perfetto: la location, il vestito, l’acconciatura, il filtro da mettere sul reel. Queste cose ci infastidiscono non poco. Come ci danno noia quei finti viaggiatori low-budget che mentono su ciò che fanno, e che sono facilmente smentibili dalla realtà. Un messaggio veicolato in questo modo diventa anche pericoloso, dal momento che potrebbe spingere chi è sprovveduto a partire pensando che tutti siano pronti ad aiutare senza pretendere nulla in cambio. Per quanto un popolo possa essere cordiale ed accogliente, è sempre bene stare attenti quando si è in giro per il mondo'.

C’è qualcosa di originale che avete fatto e che ricordate in particolare?

«Non ci siamo mai lanciati da una cascata, non abbiamo mai fatto il bagno nel Mekong, né dormito nella giungla. Questo anche perché siamo persone abbastanza “assennate”, che non si buttano in avventure e gesti spericolati rischiando solo per fare l’ennesimo video di YouTube. Di episodi originali ne sono comunque capitati anche a noi, ad esempio quella volta in cui siamo stati intervistati dai media malesi, in quanto primi occidentali ad attraversare il confine tra Thailandia e Malesia in treno, dopo oltre due anni di stop forzato causa pandemia. Un’altra cosa che ricorderemo con affetto, che capita spesso quando visitiamo mete poco turistiche, è il fatto che le persone vogliano farsi fotografare con noi, e che mostrino un sincero entusiasmo quando accettiamo di farci immortalare con loro».

Ora siete in Thailandia, ma state per ripartire: prossima meta?

'Abbiamo ancora qualche settimana prima che il nostro visto per la Thailandia scada; poi ci sposteremo quasi sicuramente in Laos attraversando il confine via terra, come prediligiamo fare. Dopo il Laos ancora non lo sappiamo, ma probabilmente sceglieremo il Vietnam o la Cambogia. Dipende da come ci troveremo lì e da cosa ci sentiremo di fare'.

Qualche consiglio pratico

In Thailandia, per i cittadini italiani, non è necessario il visto di ingresso per turismo per soggiorni non superiori a 45 giorni.

Per informazioni sul Paese turismothailandese.it

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