Valeria Solarino e quella folle passione per un tennista che non ti aspetti: ecco di chi si tratta
In questa intervista ci racconta tutto, dalla passione per il tennis al perché “il mio non essere madre è stato visto con sospetto”
Valeria Solarino ha una forza vera, quasi inspiegabile. E non è solo talento il suo, eleganza, carisma, lo vedi proprio nello sguardo, nelle parole che usa per decifrare passioni e interessi, nel raccontare il lavoro d’attrice, i progetti da abbracciare, i desideri da portare avanti, le tematiche a cui tiene. La incontriamo nell’habitat a lei più congeniale, nello specifico le ATP Finals di tennis a Torino, una passione per la racchetta, e Rafa Nadal, che ormai non conosce confini. Una sana e buona ossessione, ma da sviluppare a 360°, come e quando può, anche partecipando ad avventure editoriali in cui cimentarsi. Come sulla rivista il Tennis Italiano, lanciata insieme al direttore Stefano Semeraro nel rinnovato format grafico, alla presenza del nuovo editore, Domenico Procacci, e dove scriverà lei stessa prossimamente. Un bell’incontro, avvenuto all’interno dello Spazio Lavazza, con Boris Becker, cover man e ospite d’eccezione. Ma a dettare poi la nostra chiacchierata c’è il cinema, dall’intenso boxing movie The Cage – Nella gabbia, visto alla recente Festa del Cinema di Roma, ambientato nel mondo della arti marziali miste, al teatro, col monologo Gerico Innocenzo Rosa, che parla di identità di genere, e un desiderio, parlare di donne comuni e dei loro bisogni.
Domanda di rito: ma quante pazzie ha fatto per il tennis finora?
Molte, ma tutte le volte che gioca Nadal, quando scende in campo per me non esiste altro. A gennaio, mese in cui c’è di solito l’Australian Open, se facevo teatro mi alzavo anche alle 2 o 4 di mattina. Vedevo la partita, poi andavo a dormire, e nel pomeriggio di nuovo al lavoro: era provante, lo ricordo però come un cosa bella. È veramente una passione che non so neanche bene spiegare. Nessuna follia fatta, sono andata comunque a vedere match a Wimbledon, al Roland Garros di Parigi, a Barcellona, quindi essere qui a parlare di tennis mi ricarica, dà energia.
Quanto la appassionano invece le sfide recitative contemporanee, le stesse che ti vedono spesso protagonista?
La tournée in questo caso mi appassiona molto, è terzo anno dello spettacolo. Mi piace l’idea che più persone possano ascoltare questo testo, viverlo insieme a me ogni sera, alla fine alcuni del pubblico mi salutano con gli occhi lucidi, segno che hanno partecipato emotivamente all’incontro, accade quando tu riesci ad empatizzare con il personaggio e la sua vita. Non mi ero mai occupata di temi legati alla transizioni di genere, mai conosciuto nessuno che avesse un certo percorso, ma qui ho capito che sarebbe stato un argomento molto interessante da affrontare e portare in scena.
Perché?
Io ho la fortuna di avere una mia identità di genere, che è conforme all’idea che il pubblico si aspetta da me. Se non fosse così, avrei dovuto lottare per questo.
Vent’anni di carriera, tante esperienze: è stato difficile scoprirsi?
Capire chi sono non lo so, capire quello che mi piace, che mi appassiona, no, lo sento molto di più. Se guardo alle cose fatte, sono contraddistinte sempre da un discorso comune, c’è una condivisione di quello che viene comunicato, è una guida delle mie scelte, perché una cosa deve davvero coinvolgermi. Come The Cage, in cui si parla di libertà, della gabbia sociale, o del ring, di quanto stiamo nelle gabbie senza saperlo.
Si è mai sentita ingabbiata in qualcosa o da qualcuno?
Ho avuto un’educazione incredibile. Finito il liceo espressi il desiderio di iscrivermi all’università, studiando filosofia. Tanti ragazzi, ragazze, coetanei, avevano genitori che gli dicevano di fare scelte, indirizzate al lavoro, io volevo fare ciò che mi piaceva, è stato un privilegio avere quella libertà ed essere supportata. A volte siamo noi a ingabbiarci, costruendoci una vita che vediamo intorno, ma io non mi sono mai sentita in una struttura confezionata da altri.
Cinema e ispirazioni: Nikita è uno dei suoi film preferiti, come mai?
Intanto se Luc Besson mi chiamasse..., anzi Luc Besson potrebbe chiamarmi per qualsiasi film (ride, ndr) È una pellicola di riferimento, d’azione, coniuga l’aspetto recitativo alla fisicità, ma è anche psicologica.
Ci sono ruoli che oggi trova più affascinanti?
Le storie di donne comuni. Vorrei interpretare una donna di oggi, che magari si trova di fronte a delle problematiche quotidiane, sociali, che magari non risponde alla richiesta di essere una madre, o se è una buona madre. Mi piacerebbe che se ne parlasse realmente. Tempo fa ho sentito dire il “contributo delle donne al nostro paese accade solo se fanno figli”, beh questa è una cosa che mi ha molto scossa, non solo perché io non ho figli.
La disturba il doverlo sempre giustificare nelle interviste?
Per anni mi chiedevano “perché non hai figli?” “pensi di averli? È una domanda che un uomo non si fa,questa cosa mi stupiva, è una domanda privata, intima, anche perché ci sono mille motivazioni. Quando rispondevo “no”, ero vista con sospetto. Quindi forse raccontare meglio la maternità, e la scelta della non maternità, anche di persone che non possono avere figli, del grande dolore di una maternità mancata, sarebbe molto importante come riflessione da indagare.
Finiamo con il successo al botteghino di Paola Cortellesi e di C’è ancora domani, e così di altre attrici, diventate registe, da Kasia Smutniak a Micaela Ramazzotti. Che le pare di questo bellissimo momento?
Sono entusiasta e felice di questa esplosione, ma tanto lo dobbiamo al lavoro di Michela Murgia. Lei ha veramente suscitato una riflessione molto profonda sulle tematiche femminili, nonostante sia stata spessa attaccata, accusata, “dossierata”. Credo che l’eredità che ha lasciato sia proprio tangibile. Non ci sarebbe stata un esplosione così bella, forte, così coraggiosa, se non ci fosse stato il suo contributo, la sua scrittura, il suo esporsi sulle donne, sui loro diritti.