Vi ricordate la bellissima sirena? Ora Valentina Bellè è una violenta: "Vi spiego perché"

Mamma tedesca, papà italiano è una delle attrici più amate e con "ACAB" stupisce ancora: "Il primo impulso è stato scappare via, chiedermi come mi sentissi al riguardo, male comunque"

Foto Ansa e Instagram

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Ci sono attrici-interpreti, in grado di perdersi nei ruoli che interpretano, dandogli però forma e credibilità. Qualità rare, insieme all’eleganza e alla profondità, che sono davvero di poche se guardiamo al panorama italiano. Valentina Bellè, veronese di nascita, mamma tedesca, papà italiano, è una di queste donne: ne incarna l’essenza, raccontando la verità attraverso i suoi personaggi, drammatici, folli, complessi, brillanti, che siano, dotata com’è di una forza espressiva (e di contenuto personale) spiazzante. Nel cinema se ne sono accorti in tanti, dai fratelli Taviani (in Meraviglioso Boccaccio) a Giorgio Diritti (in Lubo). E in tv è stata una bellissima creatura fantastica in "Sirene". Il 2024 l’ha vista protagonista fin dall’inizio: premiata prima alla Berlinale (dove l’abbiamo incontrata) tra i talenti del presente e futuro, i cosiddetti “Shooting Stars”, e poi in due lavori, Sei fratelli di Simone Godano e nello splendido La vita accanto di Marco Tullio Giordana, incentrato sul tema della maternità. Ora l’attesa si sposta nuovamente alla serialità. là dove si è già mossa in maniera diversificata (I Medici, Volevo fare la rockstar, The Good Mothers), grazie ad ACAB (dal 15 gennaio su Netflix), tratta dall’opera letteraria “ACAB” di Carlo Bonini ispirata al film omonimo “ACAB” diretto nel 2012 da Stefano Sollima. Qua è Marta, appartenente al Reparto Mobile di Roma, chiamata a sedare una notte di feroci scontri in Val Susa insieme ai colleghi, la propria tribù lavorativa. Una famiglia con cui dovrà fare i conti anche il nuovo comandante, Michele (Adriano Giannini), figlio invece della polizia riformista, per cui le squadre come quella sono il simbolo di una vecchia scuola, tutta da rifondare. “Un viaggio particolare”, ci dice la Bellè, “in cui mi interessava anche indagare la violenza”.

Cosa ti ha convinto di ACAB?
Mi hanno messo nella condizione di scegliere molto velocemente, ma la cosa che mi interessava era indagare la violenza, perché non l’ho mai fatto, non ho esperienze personali, o di violenza fisica. Il primo impulso è stato scappare via, chiedermi come mi sentissi al riguardo, male comunque, molto doloroso, non comodo come ruolo. La violenta sono io in questo caso, ma ho cercato di capire perché, e viene fuori alla fine una grande vulnerabilità e fragilità e una paura principalmente, forse non mi interessava davvero solo la violenza, ma il cuore e l’origine di tutto.

Un altro progetto di svolta.
Assolutamente, ma penso ai precedenti. The Good Mothers è stato il più completo, lì mi hanno dato fiducia, non era scontato affidarmi quella parte, e poi Fabrizio De André - Principe libero, un’esperienza che mi ha fatto crescere in maniera esponenziale, avevo 23 anni, accanto a Luca Marinelli, interpretando Dori Ghezzi. Fu un regalo da attrice. Il mondo del lavoro è molto imprevedibile, deve capitare il ruolo giusto, in cui tu sei plausibile, non puoi prevederlo.

Hai sempre accettato ruoli giusti?
Magari le scelte che ho compiuto, non per motivi di innamoramento, ma per altro, mi hanno sempre insegnato qualcosa, fosse altro che ne sono uscita con una consapevolezza in più che mi porto dietro, e pian piano mi aiuta a muovermi in questo mondo. Ho avuto esperienze all’estero, la carriera sta andando bene in Italia, ne sono grata e orgogliosa, bisogna anche essere brave a provare a indagare l’aspetto internazionale, capire quando dire no.

Recitare ti ha aiutato a scoprirti maggiormente?
Assolutamente. La mia passione rimane l’ indagine umana, in generale, quello che faccio nel mio lavoro è esattamente la stessa cosa, credo di essermi innamorata della recitazione per questo. Sono la persona che sono grazie ai miei personaggi, ed è bello sorprendersi di te stessa.

Cosa ti ha sorpreso? Anche di cose non belle, tutto.

Questo lavoro richiede del coraggio, mettersi in difficoltà, confrontarti. La paura di fallire è costante, per me però è il motore, ma non sono una workalcoholic, dipendente dal lavorare. Ho bisogno di leggerezza, anche nella mia vita, mi piacerebbe molto, ma questa stessa leggerezza va oltremodo indagata, sento che mi appartiene, è un mondo da riscoprire, per cui mi affascina.

In passato dipingevi, ti è servito?
Era una mia mia meditazione, l’ultima cosa l’ho realizzata in pandemia: ho sempre meno spazio e mi pesa molto. In questo momento il tema importante è capire come trovare momenti e sfruttarli meglio, perché più cresci, e meno tempo hai per le persone che ami, e di come non bisogna “vendersi” a questo lavoro.

Ti piacerebbe scomparire un giorno davanti alla macchina da presa?
Chissà, forse sì. Dovrei solo buttarmi, di slancio, magari scoprirò anche di aver talento nella scrittura.

20/12/2024
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