Silvia Salemi, la vita difficile e il successo di "A casa di Luca": "È arrivata l'ora del riscatto"
"Ero insicura ed estremista, pensavo: se mi mostro diranno che sono una facile'. Oggi ci sono colleghe bellissime, come Noemi, Annalisa ed Elodie, che utilizzano il loro corpo in maniera serena"
Siciliana, classe 78, voce inconfondibile, l'abbiamo amata tantissimo negli anni 90 ed è entrata nella colonna sonora di qualunque millennials con A casa di Luca, cantata a Sanremo nel 1997. Capelli sempre corti come da ragazzina: "Ormai è un marchio di fabbrica ma anche un modo di sentire la vita. Ho il viso aperto, in totale ascolto degli altri, poi lo ammetto, è anche più comodo", ci ha ricordato che durante il suo esordio tutte e tutti avevano il mito del grande cantautore quindi per una giovane mostrarsi bella poteva offuscare il talento.
Il rapporto col corpo
"Da ragazza volevo che passasse il messaggio che fare musica non era una questione d'immagine. Oggi ci sono delle colleghe bellissime, come Noemi, Annalisa ed Elodie, che utilizzano il loro corpo in maniera serena: io, a 20 anni temevo che guardare il corpo avrebbe tolto qualcosa alla canzone. Ero insicura ed estremista, pensavo: se mi mostro diranno che sono una facile'. Avevo paura di apparire meno artista: allora mi coprivo fino al naso e usavo i pantaloni larghi".
Il nuovo album
E' appena uscito il nuovissimo album 23 ore, "Mi sono ispirata alle Occasioni di Eugenio Montale e l'occasione per me è diventata l'ora. L'ora del riscatto, l'ora in cui tutto può succedere, un po' come il 90esimo minuto nel calcio in cui si può ancora segnare cambiando il risultato, più in generale il senso di una vita. Può non succedere nulla, potresti perdere un treno come prenderlo ma il punto è che finché c'è fiato possiamo costruirci il futuro".
Il lutto conosciuto da bambina
"Sono una persona che cerca di non pensare perché, quando inizio, vado giù". Silvia è nata in una famiglia che affrontava la leucemia della sorellina più grande: "Dalla nascita ho imparato a convivere con la presenza costante di una malattia gravissima che all'epoca era una condanna a morte. Il senso è stato provare a dire sì dentro una esistenza in cui padroneggiavano i no della vita. Mia madre doveva scegliere tra me e mia sorella. Cioè per curare mia sorella non sapeva se portare avanti una gravidanza che avrebbe comportato un bell'impegno fisico, eppure lo ha fatto perché ha voluto dare un'altra opportunità di gioia anche a se stessa".