Sanremo militante: Rula Jebreal, lo stupro e il suicidio della madre dopo anni di violenze. Il monologo indimenticabile
Sanremo 2020, l'intervento della giornalista palestinese contro la violenza sulle donne, in cui ha parlato anche della madre, è impossibile da dimenticare
Sanremo non è solo una gara canora. Questo è sotto gli occhi di tutti. E' un intero Paese che si ferma per cinque giorni e in quei cinque giorni- da quando esistono i social ancora di più- si parla solo di quello che accade in quel palco o intorno alla kermesse. Perché quel palco è più potente di un comizio al Circo Massimo, è un gigante megafono che soprattutto le donne, hanno e stanno usando per denunciare comportamenti e combattere battaglie di civiltà, immaginare un progresso e ottenere maggiori diritti. Parlare al Festival di Sanremo permette di arrivare al pubblico più variegato. Per età, classe sociale, da nord a sud, tutti, perché anche quelli che dicono di non guardare Sanremo invece lo guardano.
Tra i tanti monologhi indimenticabili
Siamo nel 2020, due settimane dopo inizierà il primo terribile lockdown, il Covid c'è ma non fa ancora così paura. E' ancora distante, in Cina. Sarà Rula Jebreal a raccontare dopo: "c'era un momento di suspense, tutti sentivamo la responsabilità per quello che era stato detto prima del monologo. Quando sono entrata, ammetto che facevo fatica a guardare davanti a me, c'era mia figlia. L'energia nella sala era bellissima, ma dire quelle parole è stata dura, perché sapevo che mentre le dicevo qualcuna subiva quelle cose, sapevo che mentre facevano polemiche su Sanremo le donne venivano ancora picchiate, molestate, uccise. Dobbiamo rispondere, continuare a combattere. Ho cercato di dire all'inizio di fare tutti un passo avanti, guardando al di là delle opportunità politiche e cercando di affrontare i temi veri".
Cosa aveva detto
- Lei aveva la biancheria intima quella sera?
- Si ricorda di aver cercato su internet, il nome di un anticoncezionale quella mattina?
- Lei trova sexy gli uomini in Jeans?
Se le donne non vogliono essere stuprate devono smetterla di vestirsi da poco di buono.
Queste sono solo alcune delle frase usate & domande rivolte alle vittime di violenza sessuale nelle aule dei tribunali.
Domande insinuanti, che sottintendono una verità amara, crudele: noi donne, non siamo mai innocenti. Non lo siamo perché abbiamo denunciato troppo tardi, o perché abbiamo denunciato troppo presto, perché eravamo troppe ubriache, troppo belle, o – perfino - troppo brutte.
Perché eravamo troppo disinibite e “ce la siamo voluta”.
Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine. La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Erano favole tristi.
Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri: spesso torturate, violentate, uccise.
Ogni sera, prima di dormire, ci liberavamo tutte insieme di quelle parole di dolore. Io amo le parole. Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Anche e soprattutto per le donne.
Ma poi ci sono i numeri.
E in Italia, in questo magnifico Paese che mi ha accolta, i numeri sono spietati.
Negli ultimi 3 anni sono tre milioni cento diciotto mila le donne che hanno subito molestie sessuali sul lavoro.
Negli ultimi 2 anni in media 88 donne al giorno hanno subito violenza e abusi. Una ogni 15 minuti.
Ogni tre giorni è stata uccisa una donna.
6 donne sono state uccise la scorsa settimana.
E nell’80% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice:
ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, il segno delle sue labbra sul bicchiere in cucina.
Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni.
Si è suicidata, dandosi fuoco.
Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato il “luogo” della sua tortura. Perché mia madre Nadia fu brutalizzata e stuprata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal “sistema” che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare.
Perché le ferite sanguinano di più, quando non si è credute.
L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme divoravano il suo corpo..... aveva le chiavi di casa.
Quante volte noi donne siamo state Sally. Mentre vi parlo, c’è una donna che cammina per strada, schiacciata dal senso di colpa, senza avere nessuna colpa.
Voi NON avete nessuna colpa.
Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, l’anno in cui sono nata, cercò salvezza nella musica. “Devo stare calma. Devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma”, recitava nel suo potente monologo “Lo stupro”, in cui ripercorreva quel fatto drammatico.
Le canzoni che ho citato questa sera sono state tutte scritte da uomini.
Dunque, vedete? È possibile trovare le parole giuste.
È possibile raccontare l’amore, il rispetto e la cura.
E questo è il momento perché quelle parole diventino realtà.
È il momento che quelle parole non siano solo cantate ma siano finalmente vissute, ogni giorno
Per farlo dobbiamo lottare
Urlare
Sempre
Da ogni palco
Anche quando ci diranno che “non è opportuno”.
Io sono diventata la donna che sono anche per mia madre, e grazie a mia figlia. Miral,
Lo devo a loro.... Lo dobbiamo tutti noi a una madre, a una figlia, a una sorella, a una collega, e anche agli uomini per bene, all’idea stessa di civiltà e di uguaglianza. All’idea più grande di tutte: quella di libertà.
Parlo agli uomini, adesso. Lasciateci libere di essere ciò che siamo:
madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e “in carriera”. Siate i nostri complici, i nostri compagni, indignatevi insieme a noi quando qualcuno ci chiede "lei cosa fatto per meritare quello che che le è successo?”
E io sono qui stasera a celebrare le donne e la musica. Sono qui a parlare di quello di cui è necessario parlare.
Certo, ho messo il mio vestito migliore ma il senso di tutto, in fondo, è proprio qui. Nelle parole giuste, nelle domande giuste.
Domani chiedetevi pure come erano vestite le donne che hanno condotto San Remo.... “Com’era vestita la Jebreal?”
Ma Che non si chieda mai più, a una donna che è stata stuprata: “Com’era vestita, lei, quella notte?”.
Mia madre ha avuto paura di quella domanda.
Mia madre non ce l’ha fatta.
E così tante donne.
E noi non vogliamo piu avere paura, non possiamo più essere vittime o orfane, una quota o un accessorio. Vogliamo Parità.
Vogliamo essere rispettate, accettate, Amate.
E abbiamo il diritto alla protezione e la cura quando quando denunciamo.
Io lo devo a mia madre Nadia
Lo dobbiamo alle nostre madri
Lo dobbiamo a tutte noi
E lo devo anche a me stessa
Lo dobbiamo alle nostre figlie
Lo dobbiamo a tutte le bambine, qui e là
Perché nessuno può permettersi di togliere loro & di toglierci il diritto di addormentarsi con una favola.
Noi donne vogliamo essere libere nel tempo e nello spazio, vogliamo essere note, silenzi, e rumori e
Vogliamo essere questo:
musica.