Robert Downey Jr. punta al meritato Oscar: "Quando il mio rifugio erano droghe e alcol"

Dopo i primi successi, c’è stata una fase in cui ha preferito rifugiarsi nell’alcol e nell’uso di droghe, da cui poi si è fortunatamente disintossicato 20 anni fa

Robert Downey Jr. Foto Ansa

Leggi più veloce

Ci storie che rimangono e personaggi che fanno la differenza: Robert Downey Jr. è uno di questi. Un veterano del cinema mondiale, che non può passare inosservato, è praticamente impossibile. Ma è anche un sopravvissuto del Sistema, uno che ha attraversato vita e carriera scontando però il termometro che Hollywood impone alle star, divisi (e giudicati) tra il successo al botteghino, e le cadute (quasi) definitive, tra ruoli impressi nell’immaginario di molti, e la memoria (corta) di chi (produttori e grandi studios) può dimenticare presto. 

Il rifugio nell'alcol e nelle droghe

C’è stato infatti un momento in cui per lui non arrivavano copioni adatti, faceva fatica, c’è addirittura stata una fase, quella sicuramente più difficile e angosciante, in cui ha preferito rifugiarsi nell’alcol e nell’uso di droghe, da cui poi si è fortunatamente disintossicato 20 anni fa. Lo ha fatto grazie alla meditazione, allo yoga, ma soprattutto all’aiuto della moglie Susan, sposata nel 2005, la donna, come ha dichiarato nella notte dei Golden Globe, la sua e del trionfo del film Oppenheimer, che è “la mia primary caregiver”, una sorta di badante, ha detto scherzando, ma che lo ha davvero preso in cura, “facendo un'arte nel tirarmi fuori dalla mia confort zone, visto che io ho bisogno di sentirmi al sicuro”.

Ruoli (anche precoci) da rivedere e ossessioni

Figlio d’arte, di Robert Downey Sr, regista, attore e sceneggiatore, e di Elsie Ann Ford, anch’essa attrice, il suo debutto avviene a soli cinque anni proprio col padre in Pound (correva il 1970) e in alcuni altri lavori. La vera occasione coincide con Air America, al fianco di Mel Gibson, quando ha 32 anni, in un film tratto dal libro-inchiesta di Christopher Robbins, mentre l’anno della prima svolta è il 1993, la prima nomination (e mancato Oscar), che allora un po’ gridò vendetta, visto quanto c’aveva messo in termini di ricerca, interpretando la “prima ossessione”, come ha dichiarato a W Magazine giorni fa, ovvero il mito Charlie Chaplin, in Chaplin, diretto da Richard Attenborough.
Allora perse contro un fenomenale Al Pacino (in Profumo di donna) senza rivali, mostrandosi però in nuove sfumature. Gli anni ‘90 scandiscono titoli e personaggi, che sono effettivamente da riscoprire: dal corale America Oggi di Robert Altman, un ritratto cinico della società americana, ad Assassini Nati di Oliver Stone (era il reporter William Gayle che rende i due protagonisti-serial killer mediatici), calandosi poi (in costume) nel Riccardo III e nell’ottimo Restoration,  in cui è un medico ai tempi della restaurazione della monarchia nell’Inghilterra, ai tempi di Re Carlo III. 

Dopo un periodo altalenante, in cui comunque continua a lavorare, ecco la nuova svolta e rinascita. 
Dapprima in Zodiac diretto da David Fincher, nei panni del giornalista, col vizio del bere, Paul Avery, e poi nell’esplosione nell’Universo Marvel vestendo i panni (nel 2008) di Iron Man e Tony Stark, la seconda “ossessione”, che proseguirà nei successivi Iron Man 2 e 3, The Avengers (Infinity War e Endgame) e Captain America. 
È la consacrazione generazionale. Ai record d’incassi e di popolarità rinnovata e trasversale, decide di alternare scelte ambiziose, come Tropic Thunder di Ben Stiller, per cui riceve la seconda nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista, in quello che è una parodia incentrata su un improbabile war movie sulla Guerra in Vietnam, e dove è  un attore che per la parte di un sergente afroamericano si scurisce chirurgicamente addirittura la pelle. 

Oppenheimer e l’Oscar (ora) sempre più vicino

Il successo ai recenti Golden Globe (cinque premi, tra cui miglior film drammatico, attore protagonista, Cillian Murphy) e regia) lo ha portato oggi al secondo riconoscimento, dopo quello ricevuto per Sherlock Holmes di Guy Richie (altro ruolo da ricordare), a essere vicinissimo alla statuetta finora sempre mancata. Oppenheimer di Christopher Nolan, che lui stesso ha definito “un dannato capolavoro”, lo è anche osservandolo, interpretando Lewis Strauss, ex  Segretario del commercio ad interim degli Stati Uniti, ai tempi della Guerra Fredda, in cui si è completamente trasformato e invecchiato, diventando il “rivale” di J. Robert Oppenheimer, padre della bomba atomica. Un ruolo, che arriva come la “terza ossessione”, ma che adesso può garantirgli il traguardo per cui tutti tifano.

12/01/2024
logo tiscali tv