Noemi: "Vi racconto quel sogno fatto da ragazzina, come si è avverato e il legame con Vasco"
Racconta Noemi: “Lo so che per una ragazzina era una cosa assurda pensare di cantare una canzone di Vasco e Gaetano, ma quando è successo con “Vuoto a perdere” è stata l’emozione più forte della mia vita”
Sul palco del Teatro della Gioventù di Genova, dove si svolge la tre giorni di “Verso il tempo delle donne”, c’è un pianoforte. E, anche se non è previsto - e il format della manifestazione di Regione Liguria e Corriere della sera con Giovanni Toti, Urbano Cairo e Luciano Fontana padroni di casa, prevede interviste e dialoghi - Noemi ci va volentierissimo e si mette a suonare come una virtuosa, cantando prima in inglese, e poi “Glicine” e infine “Vuoto a perdere” ed è proprio da qui che iniziamo il racconto, condito dalla simpatia travolgente e “romanaccia” della protagonista.
Il racconto
“Sembrerò ingenua, ma vi racconto la prima volta che andai a un concerto allo stadio Olimpico, emozionatissima, a sentire Vasco, uno dei miei artisti preferiti. A un certo punto, come sempre, lui suonò questa….”. E Noemi riparte con il piano e con “Albachiara”. “…la canzone con cui da sempre chiude i suoi concerti. Ecco, in quel momento io feci un sogno, che era quello di poter cantare un giorno una canzone scritta da Vasco. Anzi, da Vasco e da Gaetano Curreri insieme, perché loro sono una premiata ditta”. E lo sono da quando il frontman degli Stadio nel 1976 salì sulla corriera che da Vignola porta a Zocca, Appennino modenese, ed andò a bussare alla porta della radio dove lavorava Vasco.
Il sogno avverato
Insomma, racconta Noemi: “Lo so che per una ragazzina era una cosa assurda pensare di cantare una canzone di Vasco e Gaetano, ma quando è successo con “Vuoto a perdere” è stata l’emozione più forte della mia vita”. E proprio il racconto di come i sogni diventano realtà è la costante della vita di Noemi, anzi Veronica che è il suo nome di battesimo: “Diciamola tutta: da ragazza ero piuttosto nerd, non dico bullizzata, sarebbe una parola forse eccessiva, ma certo non ero particolarmente integrata nella mia classe e con i miei compagni”.
Tutto tranne che l’identikit di una futura star della musica. Ma la vita porta dove uno non si aspetterebbe. E quando Noemi disse in famiglia che le sarebbe piaciuto cantare non si trovò di fronte alla classica domanda: “Sì, va bene cantare, Veronica. Ma di lavoro cosa pensi di fare?”. Dall’altra parte, la fortuna di avere un papà che amava la musica. “Del resto, anche lui nel 1972 partecipò a un’edizione del Festival di Castrocaro e quindi poteva capirmi. L’unica cosa che mi chiese fu di laurearmi prima. E io lo feci”.
Anche in questo caso, senza andare troppo lontano dalle sue passioni: “La mia laurea è in critica cinematografica e televisiva”, ride. Fatto sta che, di lì a poco, Noemi si trovò a cantare in un ristorante-pizzeria di Casalpalocco, sud- ovest di Roma, estremo lembo della Capitale, una di quelle classiche serate in cui la musica è un sottofondo quasi omeopatico della cena: “Io, come sempre, la presi bassa…” e giù altra risata, “e pensai di cantare My Way…” Istantaneamente in molti smisero di mangiare, alzarono gli occhi dal piatto, abbandonarono per qualche minuto la pizza e si misero ad ascoltare quella ragazza, che sembrava venuta da un altro mondo.
E qui torniamo un’altra volta a Vasco, partendo dalla pizzeria: “Quando venni chiamata ad aprire il suo concerto in un Olimpico già strapieno, perché per i concerti di Vasco non è che si va lì all’ultimo, ma alle cinque sono già tutti dentro e quindi anche chi fa l’opening ha lo stesso pubblico, sembrerà strano, ma il primo pensiero che mi è venuto è stato esattamente il ricordo di quella sera, la prima volta che cantai in pubblico alla pizzeria di Casalpalocco”. Sul palco, Andrea
Laffranchi ricorda come, generalmente, il pubblico di Vasco, soprattutto in passato, non amava chi apriva i concerti, perché era lì solo ed esclusivamente per il Komandante e spesso accompagnava le esibizioni con cori dedicati solo a Vasco: “Ma anche in questo caso sono stata fortunata, perché ero “sdoganata” dalla canzone che aveva scritto per me”. Da Casalpalocco, “mi sono fatta tutte le pizzerie del litorale romano, insieme al mio gruppo. Cantavamo e suonavamo soprattutto blues e soul. E da allora sono quindici anni che canto e ho trovato il mio posto, finchè dura…”.
Da quel giorno, poi, Noemi ha provato a restituire, anche con l’impegno sociale, quello che aveva ricevuto: “Penso che la musica possa avere un valore sociale e ad esempio mi entusiasma l’esperienza di “Una, nessuna e centomila”, insieme alla nostra grande presidente Fiorella Mannoia, a Alessandra Amoroso, a Emma Marrone e a tutte le più straordinarie interpreti della musica italiana. Dopo la splendida notte di Campovolo quest’anno siamo in Arena di Verona, ma soprattutto siamo un gruppo di amiche. La nostra chat durante il Festival di Sanremo ribolliva e ovviamente abbiamo fatto il tifo per Fiorella perché il suo ruolo è decisivo in tutto questo, ma appena saliva sul palco una donna eravamo tutte per lei”.
Anche perché in “Una, nessuna e centomila” non è che non ci siano uomini, ma fanno i feat. Ribaltando i tradizionali ruoli: “E questo si respira in ogni ambito della società. Penso al movimento che si è alzato dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin. Io ero alla manifestazione del 25 novembre e mi ha fatto enorme piacere vedere insieme a noi anche tantissimi ragazzi e uomini, noto che anche fra loro sta crescendo il femminismo. Insomma, penso che siamo messe bene, molto meglio di un tempo, anche grazie al film di Paola Cortellesi e a una serie di circostanze è partita un’onda che non si ferma”.
Un’onda che però non significa ripetersi all’infinito: “Sarebbe più facile, ma invece credo che occorra mettersi continuamente in gioco, con se stessi e soprattutto col pubblico. Meglio che ti dicano di no, che una cosa non va, piuttosto che non abbiano reazioni. Io sto in fissa con le storie di Youtube e recentemente ne vedevo una di Lucio Dalla, dico Lucio Dalla, che spiegava proprio questo, di cambiare sempre, anche a costo di spiazzare”.
Così “quando sento la mia voce diversa, ad esempio nella versione molto urban di “Sono solo parole” del produttore Drillionaire, con Lazza e Tedua, due grandi, ecco non sento tradita la mia musica. Anzi, mi piace, sono felice”. Come in pizzeria.