"Chiamatemi Marcello": l’incredibile trasformazione di Chiara Mastroianni in suo padre. Quasi una seduta spiritica

La Mastroianni decide di sdoppiarsi, diventando figlia e padre, all’inizio lo dice proprio, “Marcello, così voglio essere chiamata”

di Andrea Giordano

“Marcello! Come here!” diceva Anita Ekberg, nell’iconica scena de La dolce vita, bella di notte, immersa nell’acqua, all’interno della Fontana di Trevi, a Roma. Quel Marcello era il giornalista Marcello Rubini, quell’attore di mille generazioni era la leggenda Marcello Mastroianni, di cui quest’anno (il 28 settembre) ricorrono i 100 anni dalla nascita. Il Festival di Cannes prepara la festa, e lo fa con una pellicola (uscirà in Italia proprio oggi, 23 maggio, distribuita da Lucky Red), dal titolo inequivocabile, Marcello Mio, inserita peraltro nel concorso per la Palma d’Oro.
 
Idea bizzarra, con protagonista la figlia Chiara, attrice da tempo, per un omaggio, racconto, a metà tra un film e un documentario, nel gergo si dice meta-cinema. A dirigere è suo il regista francese prediletto, Christophe Honoré, che, complice attento e curioso, decide di tradurre in scena l’operazione ibrido, surreale e commovente al tempo stesso.

La Mastroianni, infatti, decide di sdoppiarsi, diventando figlia e padre, all’inizio lo dice proprio, “Marcello, così voglio essere chiamata”. È un ordine, una messa in scena, un modo per ricordare. Non importa. Succede dopo una maldestra rappresentazione proprio della scena della fontana, e da qui comincia ad interrogandosi tra il serio e l’ironico 8lei ci crede davvero) attraverso quella che è una galleria di personaggi iconici interpretati dal padre. C’è il Guido di 8 ½, il Fred di Ginger e Fred, la capigliatura de Il Bell’Antonio, il finale (ancora) de La Dolce Vita. Si atteggia ad atteggiamenti da conquistatore, Indossa giacche, occhiali, baffi finti, cappelli di varie misure: il Marcello-Chiara sembrano però la stessa persona, provando a integrasi. Forse non è solo un gioco narrativo, ma una lettera di una figlia, a quel padre mito, troppo ingombrante (non per lei), di cui adesso vuole sottolinearne ancora ’unicità, l’impossibilità di emulazione. 

“Voglio più Mastroianni che Deneuve”, esclama Nicole Garcia. È la frase mantra per identificare il viaggio narrativo, partito celebrare con tutte le buone intenzioni, ma che alla fine, sembra un po’ perdersi nel fingere e nella sua finzione. Una scena, però, salva tutto: quando, sempre nel film, la Chiara bambina, appoggia l’orecchio al pavimento, e Marcello con lei, ascoltano una musica della Callas. Dura un attimo, vale il ricordo e il film, forse con qualche difetto, ma vero.