I Jalisse e il record di 28 'no' a Sanremo: "I pregiudizi contro di noi: perché non ci vogliono"
"Siamo stati attaccati in modo meschino e antipatico. Si è parlato di plagio, di raccomandazione. Forse dava fastidio che un'etichetta indipendente nel ‘97, potesse vincere un Sanremo. Eravamo visti come due marziani"
Sono un inno alla resilienza, un manifesto all’autostima, uno slogan all’autoironia. I Jalisse ovvero Alessandra Drusian e Fabio Ricci, inseparabili sul palco e nella vita, sono un caso unico nel mondo della musica italiana. Vincitori del Festival di Sanremo nel 1997 con l’ormai mitica “Fiumi di parole”, da allora hanno tentato ogni anno di partecipare al Festival di Sanremo. Venendo però puntualmente rimbalzati. “No, no, no, no!” proprio come il titolo del loro nuovo singolo. Fino ad arrivare al record di 28 dinieghi di fila. Ineguagliabili. Anche perché loro anziché deprimersi e demotivarsi, insistono. E di quella che potrebbe sembrare una sconfitta, hanno fatto una rivincita condita di autoironia. Non sono mancati però i momenti di amarezza e di grande difficoltà. E qui ci raccontano anche perché nei loro confronti esistono alcuni pregiudizi duri a morire: "Siamo stati attaccati in modo meschino e antipatico".
Jalisse e Sanremo: in qualche modo riuscite a esserci sempre, pur non essendoci. Quest’anno eravate perfino nel testo del brano di Willie Peyote. Come vivete questa cosa, nel bene e nel male?
“Noi facciamo musica, quindi ci dispiace quando veniamo citati ma non siamo presenti, perché abbiamo il nostro progetto come indipendenti, portiamo avanti le nostre canzoni. Ovviamente non esiste solo Sanremo. Adesso stiamo proseguendo con il tour, siamo partiti dalla Svizzera. Come la prendiamo? Visto che Sanremo parla di noi, noi parliamo di Sanremo e ne approfittiamo per far sentire la nostra musica. È una vera convivenza”.
Di fatto siete riusciti a girare una situazione che potrebbe sembrare negativa in qualcosa di positivo. Lo fate giocando anche sull'autoironia, ma quanto ne siete stati consapevoli e quanto siete riusciti a superare la delusione?
“Quando abbiamo scoperto che il pubblico era dalla nostra parte, quando abbiamo scoperto che attraverso i nostri post dove abbiamo rivelato che venivamo scartati e ce ne chiedevamo il motivo. Noi abbiamo raccontato quello che ci succedeva. L'artista solitamente che non va a Sanremo non ne parla. Il management consiglia il silenzio, perché pare brutto. In realtà noi l'abbiamo sempre detto. E adesso anche gli altri colleghi cominciano a dichiararlo. Ma noi siamo stati i primi”.
Come avete superato la delusione?
“Abbiamo capito che forse l'ironia è il modo anche migliore per esorcizzare un no. Tu fai un progetto, fai un lavoro, ti impegni per tanto tempo, cerchi di trovare la strada giusta, la canzone adatta, arriva il momento dell'elenco dei nomi e non ci sei. E lì devi per forza voltare la chiave, perché non puoi abbatterti. Altrimenti se t'abbatti tutto il lavoro che hai fatto va a farsi benedire e si perdono le energie. La nostra è una piccola battaglia, ma non una guerra. Dobbiamo cercare di essere come i fotovoltaici, darci sempre energia".
Secondo voi esiste un pregiudizio nei vostri confronti e se sì, quale?
"Guarda, un pregiudizio no, non posso pensare a una cosa del genere. Più pregiudizi sì, ma uno non mi basta. Io mi ricordo soltanto che nel 1998 i giornali titolavano “Sanremo non vuole i Jalisse”, quindi qualche pregiudizio esiste di certo. Sono state scritte e sono successe tante cose ci hanno fatto male e ci hanno dato fastidio”.
Ad esempio?
“Ci sono stati attacchi assurdi nei nostri confronti. Noi in un certo senso non avremmo dovuto vincere. Il pezzo però era forte, la voce di Alessandra pure e alla fine “Fiumi di parole” ce l’ha fatta. Ma noi siamo stati attaccati in modo meschino e antipatico. Si è parlato di plagio, di raccomandazione. Forse dava fastidio che un'etichetta indipendente nel ‘97, potesse vincere un Sanremo. Tutti si chiedevano: “Ma da dove vengono questi due?”. Eravamo visti come due marziani. E questo embargo che oggi si chiamerebbe mobbing, noi l'abbiamo vissuto per un bel periodo di tempo, fino a che io addirittura ho cambiato anche lavoro mentre aspettavamo lnostra figlia Angelica. Poi però abbiamo pensato ma noi siamo artisti, siamo liberi, abbiamo le nostre idee, siamo cantautori, scriviamo, dobbiamo riprendere con la nostra forza. Ed oggi siamo qui”.
Qual è la canzone che vi dispiace di più che non sia stata presa? Avete un brano nel quale credete che avete deciso di conservare nel cassetto, un po’ come ha fatto Cristicchi con “Quando sarai piccola”?
“Raramente teniamo pezzi nel cassetto. Cerchiamo di farli uscire, perché una volta che li hai composti è giusto sfruttare il momento, perché quella canzone ti racconta in quel momento della tua vita. C’è anche chi sostiene che abbiamo sempre presentato lo stesso brano, ma non è così. I nostri erano sempre brani nuovi. Alcuni li abbiamo pubblicati, altri invece, siccome non avevamo la licenza per farlo, perché non li avevamo scritti noi, non li abbiamo pubblicati. Comunque il brano che abbiamo presentato e che ci ha dispiaciuto molto non sia passato è “Non aver paura di chiamare l'amore”, perché lì davamo una chiave metal. I Jalisse non sono soltanto ciò che vedete: dentro c'è tanta musica, tanti generi. Al rap ancora non ci siamo arrivati, ma non credo che ci arriveremo. Però il metal, che era un sogno che avevamo da tempo, siamo riusciti a farlo”.
Ci cantate un pezzetto di “Fiumi di parole”?
“Certo, e senza autotune”.