Il momento "in" e quello "out" della seconda serata: povero John Travolta, tra papere inutili
La lezione di vita di Giovanni Allevi che nel dolore ci insegna la gratitudine e l'imbarazzante teatrino del ballo del qua qua della star hollywoodiana
Per una volta sarebbe stato meglio che John Travolta non avesse preso uno di quegli aerei che sa pilotare così bene per arrivare fino a Sanremo. La partecipazione al Festival di una leggenda come lui, un attore che ha fatto innamorare, ballare e divertire ragazzi e ragazze di tante generazioni e di tutto il mondo, non può essere svilita da quell'imbarazzante teatrino inscenato fuori dall’Ariston al ritmo del ballo del qua qua. Il povero John aveva l’aria di non capire che cosa ci trovassero di così straordinario in quelle mossette Amadeus e Fiorello. E probabilmente anche tanti spettatori da casa. Voleva essere divertente? Voleva smitizzare uno dei più straordinari ballerini che il grande schermo ha saputo regalarci? Il risultato è stato a dir poco deludente. E dire che John Travolta, nell’unica frase che ha potuto pronunciare tra una mossetta e l’altra, ha raccontato qualcosa di profondo: “Da piccolo dopo aver visto il film “La strada” di Fellini che raccontava la morte di una donna alla quale era stato spezzato il cuore, mi sono ripromesso che io non lo avrei mai spezzato a nessuno”. Sarebbe stato interessante sentirlo parlare un po’ di più, proprio lui che ha avuto il cuore spezzato dalla morte del figlio e dell’adorata moglie. Altrimenti, meglio non prendere l’aereo.
La lezione di vita di Giovanni Allevi
Una lezione di vita. Una lezione straordinaria da non dimenticare e da cercare per quanto è possibile di applicare nella nostra quotidianità. È quella che ci ha impartito il maestro Giovanni Allevi, i ricci diventati grigi dopo due anni di strenua lotta contro il mieloma che gli ha devastato i corpo e rubato la vita da artista e da uomo. Il suo ritorno sul palco di Sanremo dopo due anni di dolore e malattia, di cure e di sofferenze, resterà nella storia del Festival ma anche in quella della tv italiana. Perché anziché spettacolarizzare il dolore, è riuscito a restituire la bellezza della vita, il senso di gratitudine, la determinazione della speranza. Le sue parole hanno commosso tutti, all’Ariston e a casa: “Non suono più il pianoforte davanti a un pubblico da quasi 2 anni. Nel mio ultimo concerto alla Concert House di Vienna il dolore alla schiena era talmente forte che all'applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi pesantissima, ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze. Ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse anche inaspettati doni”.
I tanti doni del dolore, la poesia della sofferenza
Ed eccoli questi doni insperati: “Non molto tempo fa, durante un concerto ho notato una poltrona vuota e mi sono sentito mancare. Eppure, per molto tempo agli inizi ho fatto concerti davanti a 15-20 persone ed ero felicissimo. Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone. I numeri non contano, perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito”. E ancora: “ Un altro dono, la gratitudine nei confronti della bellezza del creato”. E poi, la gratitudine “e la riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza cui non sarei qui a parlarvi. La riconoscenza per il sostegno della mia famiglia. La riconoscenza per la forza, la pazienza e l'esempio che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri, così li chiamo. Magari cerchiamo un altro termine, ma non mi viene in mente niente. Ma lo sono anche i loro familiari e i loro genitori, i genitori dei piccoli guerrieri. Ancora un dono: quando tutto crolla e resta in piedi solo l'essenziale, il giudizio che riceviamo dall'esterno non conta più. Com'è liberatorio essere se stessi”. E prima di intonare al piano “Tomorrow” svela: “Ho due vertebre fratturate e tremore e formicolio alle dite, una neuropatia. Non potendo più suonare con il mio corpo, suonerò con la mia anima". Il resto è magia.
Povero John, che tristezza il ballo del qua qua