Donald Trump, spietato e senza scrupoli, come non l'avete mai visto. Ivana? Amata e poi usata
Voleva guardare tutti dall’alto, schiacciando e schivando i nemici: "The Apprentice" non tradisce le attese e prenota la Palma. Trump? È sempre stato Trump, solo che si è evoluto in peggio
L’apprendista ambizioso e senza scrupoli. Agli albori (e origini) di quello che è stato l’inizio della carriera dell’uomo, oggi probabilmente, più odiato, Donald Trump, e di quello che poi diventerà il suo slogan negli anni presidenziali, “Make America Great Again”.
Un uomo che, a 27 anni, si faceva già notare nei club come un semplice playboy, a caccia di avventure e sesso, ma anche per provare a introdursi nel giro che contava, stufo di essere soltanto il vicepresidente della società immobiliare del padre. Per lui non bastava: doveva scalare la vetta, guardare tutti dall’alto, schiacciando e schivando i nemici.
The Apprentice, mai titolo è più azzeccato (prende spunto dal reality tv creato dallo stesso Trump ed emulato in Italia da Flavio Briatore) era l’altro titolo atteso del Festival dove concorre anch’esso per la Palma d’Oro, diretto dal regista e sceneggiatore, nato a Teheran, Ali Abbasi. Forse non una coincidenza, visto che l’Iran, sotto l’era ‘trumpiana’, è stato bandito. Siamo nel 1973, Donald, il futuro Mr. Orange per via dei capelli, inizia a districarsi nel mondo del potere, e proprio una sera, si fa notare da Roy Cohn, origini ebraiche, ex consulente del senatore McCarthy, che sarà la persona che cambierà la sua vita come personal fixer politico e avvocato personale. Un personaggio losco, dotato lui stesso di una forza oscura, mediatica, in grado di farlo dialogare, e chiudere progetti, con mafiosi, imprenditori e criminali.
Il passaggio di consegne è prossimo
Il Trump morbido e vagamente impacciato, lascia presto il passo gradualmente a ciò che conosciamo, al protagonista della scena mondiale, sfrontato, egoista, che aizza le folle, fa bullismo sui media, trasgredisce le regole, abusa della propria posizione. Un Trump sognatore, già nel film, che sogna, dice, quanto “sarebbe bello farsi un pompino sull’Air Force One”. Orizzonti e visioni da Presidente degli Stati Uniti. Gli stessi realizzati nella vita reale, con tutto quello che il mondo ha conosciuto di lui. Da Cohn impara le tre regole d’oro, che poi spaccerà per sue: “Attacca, attacca, attacca”, “Non ammettere nulla, nega tutto”, “Dì che sei sempre un vincitore e mai e un perdente”, diventando uno degli uomini più ricchi, mettendo le fondamenta della Trump Tower, con l’ambizione di superare le Torri Gemelle.
E le donne?
Conquisterà a colpi di regali la prima moglie, Ivana, madre dei suoi tre figli, Donald Jr., Ivanka ed Eric, inseguita, amata, maltrattata, tradita, usata solo a fini d’immagine, e a proprio beneficio. Trump, qui interpretato da un incredibile Sebastian Stan, papabile come miglior attore qui al Festival, insieme all’altrettanto, e ancora più bravo, Jeremy Strong nei panni di Cohn, viene raccontato così in un ritratto spietato, spudorato e veritiero. Cohn sarà poi messo da parte, umiliato, morendo di Aids, nell’ilarità di chi grazie a lui aveva avuto tutte porte aperte, accesso al sistema, ottenuto il potere e i contatti. Trump, alla fine, è sempre stato Trump, solo che si è evoluto in peggio.