"Diamanti" di Ozpetek film dell'anno ma accende la guerra fra uomini e donne: perché è così divisivo
La prima cosa che è balzata agli occhi è il diverso modo di accogliere il film da parte del pubblico femminile da quello maschile
Con un box office di € 10.461.837 ed un totale di 1.427.225 presenze “Diamanti” è il film con il più alto incasso tra i titoli italiani usciti nel 2024, e si appresta a diventare anche il più grande successo di Ozpetek al botteghino (ad oggi era “La finestra di fronte” che nel 2003 realizzò € 10.800.000). “Diamanti” è anche il secondo maggiore incasso per un film italiano nel periodo post-pandemia, dietro solamente a “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi (€ 37 milioni distribuito sempre da Vision Distribution).
Uomini e donne divisi sul giudizio
Ma sui social quello che è balzato agli occhi è il diverso modo di accogliere il film da parte del pubblico femminile da quello maschile. E sì, perché questa marginalità degli attori uomini, l'essere descritti in modo fragile o addirittura violento ha indispettito sia parte del pubblico che dei critici. Perché un film con pochi uomini e quando erano presenti così "inutili", caricaturali e in alcuni casi miseri? E' stata la domanda più frequente. La risposta più naturale è ricordare un secolo di cinema in cui raramente le donne sono state protagoniste ma amabili comparse, sopramobili nei film d'azione, di guerra, politici o nei tantissimi western. Ai maschi essere messi da parte dove sono sempre stati il fulcro crea parecchio fastidio. La loro assenza (e quando era presenza non lusinghiera) è risultata parecchio disturbante. E su questo ci sarebbe molto da riflettere. Crediamo infatti che la cifra positiva del film sia stata questa scelta coraggiosa: portare tutte le sfumature dell'essere donna e per una volta lasciare ai margini il maschile.
Il film
Ambientato nel presente e negli anni ‘70, il film racconta fatti di vita e vicende amorose di un gruppo di donne che ruota attorno a una grande sartoria di cinema diretta da due sorelle tanto diverse quanto legate. Girato interamente a Roma e ha una sceneggiatura firmata da Carlotta Corradi, Elisa Casseri e dallo stesso Ferzan Ozpetek. Nel cast Luisa Ranieri e Jasmine Trinca, e in ordine alfabetico Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Sara Bosi, Loredana Cannata, Geppi Cucciari, Anna Ferzetti, Aurora Giovinazzo, Nicole Grimaudo, Milena Mancini, Vinicio Marchioni, Paola Minaccioni, Edoardo Purgatori, Carmine Recano, Elena Sofia Ricci, Lunetta Savino, Vanessa Scalera, Carla Signoris, Kasia Smutniak, Mara Venier, Giselda Volodi, Milena Vukotic. E con Lorenzo Franzin, Antonio Iorio, Antonio Adil Morelli, Valerio Morigi, Dario Samac, Edoardo Stefanelli, Erik Tonelli.
Oltre agli applausi le critiche feroci
Oltre alle sale piene (quale migliore riconoscimento?) e ai tanti applausi, come accennato all'inizio, si sprecano anche molte recensioni negative. Ve ne abbiamo raccolte alcune per farvi intendere il tenore delle critiche al film. Iniziamo dal famoso critico cinematografico MIchele Anselmi: "Sono certo che il film andrà benissimo sul piano commerciale, dentro c’è tutto quanto piace del cinema Ozpetek: melodramma, commedia, le donne salvifiche e coese, le sorelle divise ma in fondo unite, due star isteriche, la malattia, gli uomini malvagi o solo oggetto di un divertito desiderio, il trionfo della volontà, le canzoni di Mina e Patty Pravo, citazioni varie, anche po’ di cinema nel cinema col regista che appare più volte nel ruolo di sé stesso". Ma poi precisa: "Ozpetek adora un certo mélo anni Cinquanta sempre in spolvero, ma qui, più che a Douglas Sirk, direi faccia il verso a modelli diversi: forse “Donne” di George Cukor, sicuramente “Le ragazze di piazza di Spagna” di Luciano Emmer, perfino la fortunata serie tv “Il Paradiso delle Signore”, con una puntina di “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi. Il risultato è un film di 135 minuti, ben illuminato all’insegna del rosso vermiglio, che un po’ mitizza la “magia” del cinema e un po’ ripropone lo sguardo di Ozpetek sul mondo muliebre, stavolta senza intermezzi gay. S'impone la strategia dell’accumulo: battute del tipo «Non siamo niente ma siamo tutto», le consuete canzoni di Mina e Patty Pravo che diventano balletti & cantatine, rivelazioni asprigne, ribellioni inattese, i maschi come oggetti del desiderio, bugie a fin di bene, le copertine di “Bolero”, murali giganteschi, l’accudimento e la malattia, le teglie di lasagne e le polpette, anche un riferimento a “Giorni felici” di Beckett. Ho l’impressione che Ozpetek fatichi a tenere tutto insieme, anche se - vedrete - ci sarà chi parlerà di fiaba a lieto fine, all’insegna della resilienza femminile. Magari è il film giusto per Natale, una sorta di Nazionale femminile della recitazione pilotata da un regista ormai più italiano che turco".
Mattia Ferrari sulla sua pagina Instagram è più spietato: "E niente, io ho un problema con questo regista, perché ha anche fatto dei film che mi sono piaciuti come "Saturno Contro" e "Mine Vaganti", ma è pure che uno che sforna quelle che per me sono delle discrete lagne. Ecco, questa è una lagnetta per me. Nel senso che ci sono cose che in effetti ho apprezzato. Esteticamente, trattandosi l'argomento del cinema e dei costumi, l'ho trovato davvero ben realizzato. I colori riempiono gli occhi, la fotografia morbida infonde un senso di calore che ho apprezzato moltissimo. Anche il cast quasi tutto al femminile l'ho trovato azzeccato e in genere io amo i film corali, il problema però è come questi personaggi vengono utilizzati. Sono davvero troppi e finiscono inevitabilmente con l'essere tutti sacrificati, con tante (troppe) sottotrame che si aprono e che o non vengono chiuse oppure vengono concluse molto in fretta, il che mi ha portato a non affezionarmi veramente a nessuno di loro.
Poi, ho capito cosa voleva fare Ozpetek, ovvero regalare allo spettatore un film che fosse metacinematografico e anche un omaggio al femminile e al Cinema, però anche meno. Inserire sè stesso e le attrici in un momento di lettura del copione mi è sembrato un inutile autoerotismo che non viene nemmeno approfondito. Sembra che un giorno fossero a pranzo insieme e il regista abbia detto "Oh Pino, ma non è che bel baule dell'auto hai una macchina da presa? C'ho avuto un'idea". Stessa cosa per il finale, che vuole essere poetico e che ho trovato davvero troppo retorico, facendo peraltro passare la storia raccontata quasi in secondo piano. E anche sul lato tecnico avrei da ridire: la regia a tratti mi è parsa televisiva, quasi da fiction, così come la colonna sonora che, vi giuro, a un certo punto mi sembrava quella de "Il Bello delle Donne". Non dico che sia brutto, per carità, ma temo che io abbia qualche difficoltà a digerire film come questo che, per citare Stanis "È un po' troppo italiano". Però oh, Luisa Ranieri, Jasmine Trinca e Mara Venier sono state davvero brave.
Ancora Marco Giusti per Dagospia risulta ancora più severo: "Non riesco proprio a farmelo piacere. Non mi piace il ricatto morale del tema importante, il costruire i rapporti di potere tra uomini e donne nel mondo del cinema e della famiglia e poi risolverli con una logica da fiction televisiva taralliana. Come se non avessimo mai visto i film di George Cukor… Non mi piace l’intromissione del regista stesso, con l’amica del cuore Elena Sofia Ricci e parte del cast al centro e alla fine del film come se fosse l’occhio dell’autore sulla storia. Il coro. E la sua firma. Ma perché? Che bisogno aveva? Non mi piace che la sceneggiatura non sia controllata come invece è controllata nei migliori film di Ozpetek, scritti da Gianni Romoli, e i personaggi vadano un po’ da tutte le parti, a cominciare proprio da quelli della Ranieri e della Trinca, e poi risolti con piccole trovate narrative che fanno un po’ “Il paradiso delle signore”. E’ tutto così ovvio e telefonato. Pure sti pezzi di Mina che non ne possiamo più… E non mi piace, anche se capisco che sia una scelta che Ozpetek ha già dato tanto alla causa, che non si veda un sarto gay, le sartorie romane degli anni ’70 erano in mano a Tirelli, a Gabriele Mayer. Non solo sarte e sartine e costumiste da Oscar. Posso essere contento che il film vada bene, che il pubblico applauda alla fine, ma che hanno da applaudire?
Su Facebook anche la meno cattiva recensione di Alfio L. Torrisi: "Diamanti" di Ferzan Özpetek è un film che, nel complesso, riesce a colpire e coinvolgere un pubblico eterogeneo, affrontando tematiche sociali profonde e sfumature che solo chi possiede una spiccata sensibilità può cogliere appieno. Nonostante alcune scelte stilistiche possano suscitare sentimenti contrastanti, l'opera risulta ben riuscita, grazie a una narrazione corale che esplora con delicatezza e forza l'universo femminile. Non mancano, però, alcuni aspetti secondo me meno riusciti, seppure "funzionali" per il regista. L’inserimento del “film nel film” appare talvolta poco organico, con un metacinema che, per quanto interessante come idea, risulta in parte forzato. Anche la presenza dello stesso Özpetek nella pellicola, pur richiamando elementi autobiografici, non aggiunge particolari elementi narrativi e sarebbe potuta essere gestita diversamente.
Spietata quella apparsa Mymovies scritta da Christian Pietrelli: "Una vera catastrofe a livello di regia e recitazione (inquadrature di minuti sui volti inespressivi come facevano negli anni 80 per le telenovelas o dagli anni 2000 per le serie turche). Le attrici (e anche gli attori) mediocri nella recitazione (quella scena di 3 minuti di sguardi tra la protaginista e il ritrovato amore nell'ufficio mi sembrava una scena di un film degli anni 20 con la stessa espressività). Veramente l'unica che ha recitato piacevolmente è la sola NON attrice, Mara Venier. Brava Lucia Ocone, ma per il resto, sarà anche per i dialoghi e per le capacità recitative, un B movie. E si che la storia meritava, l'idea di mescolare le prove con la trama era azzeccata, ma come l'ha sviluppata, scritta e diretta Ozpetek è stato fallimentare. Ci mancava la battuta "vuoi qualcosa da bere Pedro, dai Pedro bevi qualcusa..."