Carmen Consoli, dalla gioia per il figlio avuto con fecondazione assistita all’amore: "Sono sempre stata sfortunatissima”
La musicista si racconta e racconta l'amore, a partire da quello per sua nonna, per il figlio e quello sfortunato del rapporto di coppia
Leggi più veloce
E’ un concerto del cuore, quello di Carmen Consoli a Recco, un posto che già la geografia definisce nel modo migliore: “Golfo Paradiso”. Il sindaco Carlo Gandolfo va sul palco per presentare gli artisti e dice alla sua signora: “Cristina, ti amo”. Il direttore artistico Angelo Privitera, per trent’anni il più stretto collaboratore di Franco Battiato, si commuove e Carmen pure, perché è il trionfo di “quella” Catania.
L'amore
E poi c’è l’amore di Carmen che racconta e si racconta, a partire dalla sua nonna. “Vedete, io sono sempre stata sfortunatissima in amore e uno allora penserebbe che sono fortunata al gioco. E invece no, nemmeno quello. L’unica fortuna che ho siete voi, il mio pubblico che mi emoziona e mi vuole bene”. Applaudono in migliaia e Carmen ricorda “nonna Carmelita, che ogni volta mi diceva: tranquilla, bedda. Si chiude una porta, si apre un porticato. E per me non si è aperto un porticato, ma proprio una galassia, è arrivato mio figlio Carlo, per cui ho scritto anche questa canzone: “Le cose di sempre”.
Il figlio
Carlo oggi ha dieci anni, Carmen è felicissima di essere ricorsa alla fecondazione assistita e ha raccontato la sua maternità ai giornali: "L’esperimento sembra essere riuscito. Probabilmente qualcuno al governo italiano ci sta pensando di portare questa pratica anche qui no? Io sono il test. E insieme a me, credo, Gianna. Tante altre persone in Italia hanno fatto questo e sono tanti, sono veramente tanti che popolano questo Paese e che hanno fatto ricorso a questo tipo di fecondazione, no?".
Parole di un paio d’anni fa che, nel momento in cui la Camera dei deputati proprio questa settimana ha approvato in prima lettura il “reato universale di maternità surrogata”, suonano ancora più forti e significative. Per due anni Carmen si è recata a Londra e dopo un iter fatto di pratiche mediche e quesiti psicologici, ha potuto selezionare un donatore, non anonimo, laureato in medicina e amante della musica classica. Parlando di Carlo, coccolato da nonne e zii acquisiti, sorride felice: Sembra crescere sereno”.
Cantare con il cuore
E le parole della canzone che gli dedica, con le lacrime di gioia che si possono leggere negli occhi, sono una carezza assoluta e definitiva, quasi un manifesto dell’amore per un figlio a cui la mamma vuole trasmettere la sua passione per i diritti civili.
Un vero e proprio decalogo filosofico e umano, di vita: “Come faccio, amore mio, a parlarti di valore, nel giusto peso che via via si associa alle cose, in questa enorme confusione, in cui l'evidenza è un'opinione smentita dalle parole”.
Passione e anche sofferenza con il suo manifesto politico sui soccorsi in mare e un tipo di cattolicesimo che non condivido: “Come faccio amore mio a parlarti di dolore, Inestimabili esistenze disperse in mare, Quanto fervore per difendere le sacre amate sponde, e Cristo in croce nelle scuole”.
La ricetta
Per Carlo, la ricetta è: “Chiudi gli occhi, amore mio, nulla può succeder, vieni qui tra le mie braccia e raccontami, di diavoli, fantasmi e formiche giganti, questo buio, amore mio, nulla può nascondere”.
E’ un manifesto di vita, molto più che mille parole o un’intervista e infatti scandisce ogni parola Carmen, rivolgendosi a Carlo: “Come posso, figlio mio, insegnarti a rispettare le idee e le debolezze altrui, le piante e le zanzare in questa giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore il mito della clava e del terrore. Come faccio, figlio mio, a dirti dove andare, proprio io che non mi sono mai saputa orientare in questa selva sconfinata e oscura, avvisteremo l'orizzonte. Saluteremo insieme questa notte”.
Come una ninna nanna
Su su, fino alla conclusione, parole che dimostrano che l’amore per un figlio amato è più forte di ogni legge e di ogni certificato di nascita su carta intestata: “Chiudi gli occhi, amore mio, nulla può succedere. Vieni qui tra le mie braccia e raccontami di abissi profondissimi e creature mutanti; questo poi, amore mio, nulla può nascondere; questo poi, amore mio, nulla può nascondere il chiarore della luna e delle favole si poserà con grazia sulle cose di sempre. Questa notte, amore mio, tutto può succedere”.
E ogni parola è scandita, ogni virgola è sottolineata, ogni giorno di crescita di Carlo è raccontato in questa canzone.
Ma quella per la maternità universale non è l’unica battaglia di Carmen Consoli, che ha fatto sempre di più della lotta per i diritti civili il suo Dna musicale. Anche e soprattutto quando significa ribellarsi a quello che era la sua regione, la Sicilia. “Ad esempio, l’abuso sui minori, che ho voluto raccontare con la ragazza che mette il rossetto rosso carminio per accusare lo zio”, che altrimenti l’avrebbe passata assolutamente liscia, “perché queste cose non si dicono”.
La vita alla finestra
O, ancora, la vita alla finestra raccontata in siciliano, con gli occhi di un paese “dove tutti sanno tutti di tutti”. E ci sono tipi umani da raccontare, che sono l’immagine della vecchia Sicilia: “Quelli che apparecchiano la tavola ai potenti, ma sono miseri in ogni senso. E poi gli arricchiti, magari anche legittimamente, non necessariamente fraudolentemente, ma che anche con i soldi rimangono quelli di prima, ma ostentano. Ci sono quelle che si chiamano Giuseppina, ma dopo che fanno i soldi si fanno chiamare Giusy, con la y”. Ma sempre Giuseppina rimangono. E poi il più pericoloso di tutti, un boss del quartiere, “il Re Leone, che quando entra in chiesa padre Coppola fa l’omelia breve e lui ha lasciato la macchina in mezzo alla strada”.
I suoi classici
E’ in splendida forma, Carmen e sfodera i suoi classici: “Amore di plastica”, “Parole di burro”, “Fiori d’arancio”, “L’ultimo bacio”, “Pioggia d’aprile” riarrangiata con ritmi caraibici, “Mandaci una cartolina”, “Geisha”, “L’eccezione”, “Confusa e felice”, “In bianco e nero”, “Venere”, che sono il suo Bildungsroman, ma anche le canzoni della nostra vita e con cui siamo cresciuti.
Poi chiama una “Bedda amica mia”, che è Marina Rei, anzi rrrei come dice lei in catanese, “con una canzone che mi sarebbe piaciuto scrivere” e che inizia con l’inconfondibile “Mi dipingo la faccia di un rosso vergogna” e quando la fanno insieme “I miei complimenti” ha una forza ancora maggiore.
Carmen scherza con Marina e con i suoi sull’acqua: “Io la chiedo ghiacciata e questi me la mettono sempre a temperatura ambiente, perché dicono che fa venire la congestione. Ma poi quando chiedono birra e prosecco al ristorante, persino l’acqua frizzante, li vogliono ghiacciati e non fa più venire la congestione”.
Se ne vanno abbracciate, amiche come sempre, come lo sono da trent’anni. Marina con le sue percussioni e Carmen con chitarre elettriche, acustiche, basso, che la accompagnano per tutto il concerto.
Poi, alla fine, siamo a Recco e la focaccia al formaggio IGP è l’ultima gioia di una serata di gioia.
Terminata con il pubblico che chiede bis su bis, persino a impianto spento, e Carmen canta unplegged a voce e strumenti nudi. E emoziona.