Biagio Antonacci: "Quella volta in cui non sono riuscito a dire a mio padre ‘ti voglio bene’ sul suo letto di morte"
Un “Inizio”, da tanti punti di vista, che arriva dopo 5 anni di attesa, un concept album che contiene l'anima e l'energia di Antonacci che in questa intervista si racconta a tutto tondo
E’ un fiume in piena Biagio Antonacci, che col suo nuovo lavoro, Inizio, propone un concept album che è veramente un mondo in musica da scoprire, ricco di riflessioni, di pensieri profondi, di consapevolezza e di positività. Questo suo sedicesimo disco di studio arriva dopo 5 anni di attesa e raccoglie 15 brani scritti negli ultimi quattro, e lasciati sedimentare (disponibile in formato Cd e vinile su etichetta Iris e distribuito da Epic Records/Sony Music Italy.
Un “Inizio” da tanti punti di vista, Antonacci
“Sì, però ora mi chiedo ‘Ma perché l’ho intitolato l’inizio, dovevo chiamarlo il cerchio!’ Lo dico perché, riflettendoci, poggia su un concetto più orientale che occidentale, ossia quello di una circolarità della vita che esclude la fine così come l’inizio. Ciò che intendo esprimere è che secondo me la vita è un concetto circolare, non c’è un inizio e non c’è una fine. Preferisco pensare che ci sia sempre un punto dove tornare e da dove partire. Il brano che dà il titolo all’album è l’unico che non ho scritto io, è un regalo di Giorgio Poi. Quando mi mandò il pezzo mi inviò un messaggio che conservo ancora e che così recitava: “Si resta vivi finché si ha l’entusiasmo per iniziare qualcosa, per generare una scintilla e farne un progetto, un amore, un’amicizia, un lavoro, una canzone, un figlio. Riuscire ad entusiasmarsi è riuscire a vivere. Non c’è universo senza un Big Bang”. Ho fatto mie queste parole, tanto da decidere di cantarle e di dare al nuovo lavoro proprio il titolo di questa canzone. Il concetto alla base è la libertà di poter essere sempre in questo circolo di vita”.
Emerge forte un desiderio di cambiamento: è così?
“Esatto. Il cambiamento per me rappresenta nuova energia, vitalità, nuovi orizzonti da raggiungere; ma spesso spiazza, viene visto quasi come un tabù, come un atto di “terrorismo”, associato alla mancanza di coerenza perché siamo legati agli stereotipi, alle abitudini, al controllo. E’ bello pensare, invece, che il cambiamento sia un atto di coraggio verso il futuro, verso se stessi. Così cerco di esorcizzare quel limite umano che identifico nella parte che ciascuno di noi ha, legata alla staticità”.
Lo scorso novembre ha compiuto 60 anni: chi è Biagio Antonacci oggi?
“Sono un uomo al quale la vita ha regalato un nuovo figlio; non a caso L’inizio è dedicata a mio figlio Carlo. Sono diventato padre in periodi diversi della mia vita e oggi sento di avere un maggiore consapevolezza. In un momento in cui ti potresti sentire un po’ più leggero, un figlio ti fa stare ancora con la testa a posto e ti fa avere persino più cura di te, per essere pronto a educare, a dare dei consigli. Potevo entrare in un emisfero diverso, e invece no, ho Carlo, da far crescere all’insegna di ideali “nobili”. A questa età percepisci che il tempo ora ha un peso specifico diverso, che vorresti dedicarti a ciò che prima non facevi per non deludere gli altri; senti che hai ancora tanto da realizzare perché nella vita hai sempre detto “me ne occuperò domani”. Mi sento un uomo libero, che vive ciò che vuole vivere e basta. E’ oggi il domani della mia vita”.
Un punto che ben emerge nel filo conduttore del disco: il qui e ora, il non aver rimpianti.
“Sì, come nel caso di dire al proprio padre “ti voglio bene”. Sono parole che hanno un peso, sono dense. Avrei potuto farlo tante volte, eppure... Quando era sul letto di morte volevo dirglielo, ma avevo paura che avrebbe capito che erano i suoi ultimi giorni, e me lo sono tenuto dentro. Invece avrei dovuto andare oltre… Andando avanti ci si porta dentro una sorta di sofferenza, che poi diventa malinconia e anche solitudine. Ne parlo nel brano ‘Evoco’, che è come un sogno, in cui c’è una donna che mi invita ad avventurarmi in un bosco: vedo l’ombra di mio padre, che sorride e se ne va. Ecco perché dico che, alla fine, il passato è nostalgia, il futuro è ansia, solo il presente è reale e io voglio viverlo al meglio, per non avere rimpianti. Le relazioni che viviamo sono qui, ora, non ieri e non domani”.
A cosa ama dedicarsi quando non è occupato con la musica?
“Amo stare a contatto con la natura, è la nostra madre e dobbiamo rispettarla. Io ho tanti totem: l’amore e la donna che amo lo sono, così come l’albero dell’ulivo, la vigna, il fuoco; passo le ore a guardarlo e non mi annoia mai. Ho anche un’azienda agricola in Romagna, su una collina tra Forlì e Cesena, e mi diletto a fare un po’ il contadino, produco pure dell’olio. E poi mi piace riparare manualmente le moto, soprattutto quelle vecchie, di cui ho alcuni esemplari in una piccola officina”.
In estrema sintesi, cosa le piacerebbe trasmettere con questo lavoro?
“Il coraggio. Il coraggio di superare l’abbandono, la solitudine; quello necessario a non aver timore, a non provare sofferenza di fronte al tempo che passa. E’ un album di grande speranza, da ascoltare con il sorriso sulle labbra, ma anche, ogni tanto, con una piccola lacrima che tocca il cuore”.
Un album terapeutico…
“Spero di sì. Intanto me lo auguro per me, egoisticamente! E mi auguro che possa essere per tutti una carezza, in grado anche di alleviare una piccola sofferenza”.
Al disco farà seguito un tour?
“Sì, il prossimo settembre sono in programma dieci appuntamenti nell’Anfiteatro del Vittoriale a Gardone Riviera. Il Vittoriale era un posto dove andavo spesso, da bambino, con i miei genitori. Crescendo, quando ho iniziato a fare musica, ho pensato molte volte alla possibilità di suonare in un luogo storico così importante per il nostro paese e per la cultura italiana”.