Angelina Jolie magnifica, "vulnerabile e addolorata". Si trasfigura in Maria Callas e prenota la vittoria
"Purtroppo nei suoi ultimi anni di vita ha tentato, ma critici sono stati crudeli. Non so se sia morta sapendo di essere amata, credo se ne sia andata invece in grande solitudine e dolore"
Trasformarsi in Maria Callas, come tutti i grandi nomi della cultura, dell’arte, del cinema, della musica, spaventa. Non è solo una prova attoriale, ha un sapore diverso, rappresenta sfida, confronto, voglia di superare i propri limiti. Pablo Larraín, regista, produttore e sceneggiatore cileno, negli ultimi anni, è come se avesse voluto aprire un proprio percorso narrativo, raccontando del femminile, e di tre storie di donne.
Donne incomprese: Jackie Kennedy, Lady Diana e Maria Callas
Donne forti, sì, ma fragili e incomprese. In primis lo ha fatto con Jackie, protagonista Natalie Portman nei panni di Jackie Kennedy, narrata poco dopo l’assassinio del marito John a Dallas, in cui ricordava i tempi in cui era stata First Lady, e poi grazie a Spencer, protagonista Kristen Stewart, andando a ipotizzare quello che successe nell’ultimo periodo in cui Lady Diana decise di scappare in maniera definitiva dalla famiglia reale e dal marito, attuale Re d’Inghilterra, Carlo. Due interpretazioni che ricevettero la nomination all’Oscar. Ora, ecco l’atto (forse) finale di questa trilogia: la figura di Maria Callas, raccontata nel biopic Maria, in concorso per il Leone d’Oro al Festival di Venezia 2024, con al centro la magnifica Angelina Jolie. Una pellicola avvolgente, dolorosa, che inizia proprio con la morte della grande soprano, avvenuta il 16 settembre 1977, e del suo corpo trovato dai fedeli assistenti italiani che fino a quel momento la seguirono in tutto, Ferruccio Mezzadri (interpretato da Pierfrancesco Favino) e la governante Bruna Lupoli (Alba Rohrwacher) nel suo appartamento di Parigi.
Una preparazione incredibile
Angelina Jolie diventa così Maria Callas, grazie ad una preparazione incredibile, sei mesi, passati a studiarne i movimenti, la postura, la mimica del volto, cantando e trasfigurandosi in lei, nei momenti intimi e dolorosi, nelle performance. Attraverso un’intervista totalmente immaginata e rilasciata ad un giornalista, grazie a dei flashback, ripercorriamo con lei gli anni ‘40, ‘50 e ‘60 nel suoi massimi splendore artistico, nelle opere liriche a teatro, dividendosi tra l’amore per la propria professione, la ricerca della perfezione assoluta, il privato, e il rapporto, profondo e appassionato per Aristotele Onassis. Ma qui vediamo anche il suo dramma esistenziale, il tormento, la solitudine, quella vulnerabilità che la minò nel periodo finale, in cui dovette difendersi dai propri demoni, da critiche feroci, da una voce che la stava abbandonando, da un tormento che la portò ad assumere anche farmaci, alcuni illegali, come ad esempio il Mandrax. Una Callas minata nel fisico, nel volto, ma fiero nello sguardo, che Angelina Jolie porta in scena attraverso qualcosa di incredibile, e in un ruolo che la riporta in corsa, chissà, a un premio importante alla Mostra, e chissà, verso una nomination all’Oscar, lei che la statuetta l’ha già vinta grazie al ruolo disturbante di Ragazze interrotte.
I critici sono stati crudeli
«Francamente per me il problema», ha detto Angelina Jolie, «è sapere se sono stata brava per i fan della Callas. La mia grande paura sarebbe deluderli, anche per il suo retaggio, memoria, come donna. Come ci si avvicina ad una figura del genere? Ascoltandola. Ci sono registrazioni mentre insegna, ed io sono stata privilegiata, è stata la mia insegnante. Grazie a lei ho capito che dobbiamo essere disciplinati, fare pratica. Credo che questo approccio sia importante, poi alla fine subentra l’emozione. Pablo mi ha poi protetta, consentendomi di entrare in queste emozioni, ed è una cosa che non avevo mai fatto prima. I brani musicali parlano molto del suo mondo, lei è diventata questi personaggi e li ha trasformati in una summa totale che la rende quella che è stata. Ho riflettuto per capire chi era, la sua solitudine, vorrei che fosse qui nel vedere la gentilezza che la gente ha verso di lei. Purtroppo nella sua ultima esperienza di vita ha tentato, ma critici sono stati crudeli, eppure stava cercando di fare il meglio. Non so se sia morta sapendo di essere amata, credo se ne sia andata invece in grande solitudine e dolore»
Ed è così che il termine Diva muta
«Credo sia associata a connotazioni negative. Con la Callas ho (r)imparato questo termine e un nuovo rapporto con questa parola, è stata una delle persone più impegnate, difficile pensare a qualcosa fatto che non riflettesse. Oggi non voglio dire cosa mi accomuna davvero a lei, sorprendentemente direi la parte più morbida di Maria, che non trova nel mondo spazio e apertura, già quella morbidezza, e nella condivisione di quella vulnerabilità».