Tumori: l’immuno-oncologia cambia lo standard di cura

di Go Salute

Dendritic cell and lymphocyte, colored scanning electron micrograph (SEM). Interaction between a dendritic cell (blue) and a T lymphocyte (pink), two components of the body

Retina_2520x1680px_shutterstock_207235936_editL’immuno-oncologia si conferma la nuova arma efficace per combattere il cancro e allungare la sopravvivenza a lungo termine, garantendo una buona qualità di vita. Questo approccio innovativo ha evidenziato risultati importanti nel tumore del rene (10.400), del distretto testa-collo (9.200) e in quello del polmone, uno dei più frequenti (41.000 nuovi casi nel 2015 nel nostro Paese). Sono in corso studi promettenti anche nel cancro del vescica, del fegato e del cervello. Proprio per le enormi potenzialità che ne derivano, l’immuno-oncologia rappresenta uno dei temi centrali del 52° Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), il più importante appuntamento mondiale di oncologia che si apre oggi a Chicago fino al 7 giugno.
E l’Italia ha svolto un ruolo fondamentale nelle ricerche che hanno portato a questa svolta nella lotta alla malattia. “Questo approccio funziona nel tumore del rene, dove la chemioterapia e la radioterapia si sono dimostrate, storicamente, poco efficaci – spiega il prof. Sergio Bracarda, Direttore della UOC di Oncologia Medica di Arezzo, Azienda USL Toscana SUDEST -. Il trattamento di scelta per la malattia localizzata è rappresentato dalla chirurgia, conservativa quando possibile. Il 60% circa delle neoplasie renali è individuato casualmente, come diretta conseguenza dell’impiego, sempre più diffuso, della diagnostica per immagini in pazienti non sospetti in senso oncologico. Ma circa un quarto delle diagnosi avviene in stadio avanzato, con limitate possibilità di trattamento. Oggi si stanno aprendo nuove opportunità per questi pazienti grazie all’immuno-oncologia. In particolare nivolumab è un inibitore del ‘checkpoint’ immunitario PD-1, molecola coinvolta nei meccanismi che permettono al tumore di evadere il controllo del sistema immunitario. Lo scorso aprile l’agenzia regolatoria europea (EMA) ha approvato la molecola nei pazienti con carcinoma a cellule renali avanzato precedentemente trattati.
Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione di nivolumab sia negli Stati Uniti che in Europa ha evidenziato una riduzione del rischio di morte del 27%, pari a più di 5 mesi, rispetto allo standard di cura (25 mesi rispetto a 19,6 mesi). Il tasso di sopravvivenza globale ad 1 anno è stato del 76% per nivolumab verso il 66% del braccio di confronto. E nivolumab sta evidenziando risultati promettenti anche nel tumore della vescica, uno dei più frequenti con 26.000 nuove diagnosi stimate in Italia nel 2015. Ricordiamo anche atezolizumab, una molecola anti PD-L1, che ha appena ricevuto un’iniziale approvazione da parte dell’ente regolatorio statunitense (Food and Drug Administration, FDA) per questa patologia”. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) lo scorso marzo ha stabilito la rimborsabilità di nivolumab nel melanoma metastatico e nel tumore del polmone non a piccole cellule squamoso avanzato.
“La forma squamosa è tipica dei fumatori – afferma il prof. Federico Cappuzzo, direttore dell’Oncologia all’Ospedale di Ravenna-. Solo il 15% dei casi di tumore del polmone riguarda i non fumatori, che di solito presentano mutazioni genetiche e possono essere trattati con farmaci a bersaglio molecolare. Ma l’85% delle diagnosi interessa i tabagisti, che non sono caratterizzati da queste alterazioni e non disponevano finora di armi realmente efficaci. Nello studio registrativo nivolumab ha evidenziato un tasso di sopravvivenza a un anno del 42% e una riduzione del rischio di morte del 41% rispetto alla terapia standard. Nello stesso tempo, agendo direttamente sul sistema immunitario, nivolumab ha dimostrato un profilo di sicurezza vantaggioso rispetto alla chemioterapia standard, garantendo una qualità di vita nettamente migliore. È il più importante risultato mai ottenuto finora e il primo reale passo in avanti negli ultimi venti anni in una neoplasia particolarmente difficile da trattare. L’unica arma disponibile infatti era rappresentata dalla chemioterapia, poco efficace e molto tossica. E si stanno delineando prospettive importanti anche in questa patologia grazie alla combinazione di due farmaci immuno-oncologici, ipilimumab e nivolumab”.
Il melanoma ha rappresentato l’apripista delle sperimentazioni sull’immuno-oncologia. “Un approccio – sottolinea il prof. Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia al ‘Pascale’ di Napoli – che ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza a lungo termine nelle persone colpite da questo tumore della pelle in fase avanzata: il 20% dei pazienti è vivo a 10 anni, in questi casi quindi la malattia si ferma o scompare del tutto. Un risultato mai raggiunto finora e in questo tumore della pelle è ormai possibile evitare la chemioterapia. Il meccanismo d’azione dell’immuno-oncologia ha un’efficacia trasversale, non limitata a una sola patologia, proprio perché stimola il sistema immunitario rinforzandolo nella lotta contro la malattia”.
“Gli studi alla base dell’approvazione di nivolumab – conclude il prof. Ascierto, unico italiano coinvolto come chairman di una delle sessioni plenarie del Congresso ASCO 2016 (Melanoma and Skin Cancers) -, avvenuta nel luglio 2015 a livello europeo, hanno evidenziato nei casi di melanoma avanzato un tasso di sopravvivenza ad un anno superiore al 70%, con una riduzione del rischio di morte del 58%. Per quanto riguarda nivolumab al momento non abbiamo dati a 10 anni come per ipilimumab, il primo farmaco immuno-oncologico approvato. Tuttavia, in uno studio di fase I, la curva di sopravvivenza di nivolumab ha evidenziato una percentuale di pazienti vivi pari al 35% a 5 anni che fa ben sperare (ref. Dato a 5 anni: Hodi et al; AACR 2016 Oral presentation). Inoltre studi recenti hanno dimostrato l’efficacia della combinazione di ipilimumab e nivolumab. L’associazione ha evidenziato una riduzione delle dimensioni del tumore, cioè tassi di risposta, non solo maggiori rispetto ai due farmaci somministrati in monoterapia ma anche più veloci e duraturi”.
Passi in avanti grazie all’immuno-oncologia anche nel trattamento dei tumori del distretto testa-collo. Nel nostro Paese vivono più di 113mila persone con questo tipo di neoplasie, fortemente influenzate dagli stili di vita. Almeno il 75% dei casi infatti è causato dal fumo di sigaretta e dall’alcol. Se individuate in fase precoce queste neoplasie presentano tassi di guarigione compresi fra il 75 e il 100%. Purtroppo la maggior parte delle diagnosi avviene in stadio avanzato, in cui la prognosi peggiora drasticamente con percentuali di sopravvivenza a cinque anni intorno al 40%. In uno studio di fase III nivolumab ha dimostrato un tasso di sopravvivenza globale ad 1 anno del 36% verso il 16,6% del braccio di confronto, che era rappresentato dalla chemioterapia (ref. Dato testa-collo: Gillison et al; AACR 2016 Oral presentation). Ecco perché l’immuno-oncologia può costituire la svolta anche in queste neoplasie.