La storia di Valentina: 'Grazie all'Airc ho curato il tumore in gravidanza e mia figlia Anna è sanissima'
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Nessuna testimonial famosa è stata scelta per la campagna 2015 dell’Airc a favore della ricerca sul cancro. Perché chi meglio di una donna che è scampata a un tumore può testimoniare quanto serva finanziare la ricerca? Chi meglio di una madre che ha potuto mettere al mondo una bellissima bambina proprio grazie ai progressi della scienza può dimostrare quanto sia utile e necessario aiutare le ricercatrici e i ricercatori dell’Airc nella loro opera che va avanti da 50 anni? Per questo Valentina Robino è uno dei volti della campagna che approfitta della festa della mamma per diffondere nelle piazze italiane le sue azalee per la ricerca.
Quella di Valentina è una storia emblematica e noi le abbiamo chiesto di raccontarcela.
“Era l’estate del 2009, ero in vacanza e una mattina facendo la doccia ho sentito un nodulo sotto l’ascella. Mi sono spaventata e così sono tornata a Genova e sono andata in un centro privato per accertamenti. Ma il medico che mi ha fatto l’ecografia ha riso delle mie preoccupazioni e in genovese mi ha detto che si trattava di una ‘belinata’. Ho chiesto se fosse necessario fare altri controlli ma mi ha detto che non c’era bisogno e che stavo meglio di lui. Pochissimi giorni dopo, sempre durante la vacanza, ho scoperto di essere incinta della mia seconda figlia Anna”.
E il nodulo?
“È rimasto lì e io sentivo che cresceva molto velocemente ma, visto che ero stata rassicurata, in principio ho pensato che aumentasse di volume perché in gravidanza il seno cresce. Anche se la preoccupazione c’era perché in pochi mesi era raddoppiato ed era diventato doloroso. Finalmente durante una visita di controllo della gestazione ne ho parlato alla mia ginecologa che mi ha invitata ad andare subito a fare accertamenti. A qual punto le ho detto che avevo già fatto un’ecografia ma lei ha insistito perché andassi da uno specialista. Così ho fatto e il medico, già sulla base della precedente ecografia, mi ha detto che era un nodulo sospetto e che era necessaria una biopsia”.
E l’esito della biopsia quale è stato?
“Carcinoma ‘triplo negativo’, uno dei più aggressivi e difficili da curare perché con un indice di proliferazione elevato. Ma io ero già alla 25 settimana di gravidanza e questa diagnosi è stata come ricevere un pugno in faccia. In meno di tre mesi, da meno di un centimetro, il tumore era diventato di 2.7 e quindi andava velocissimo. Mi è venuto il panico e ho temuto che la situazione fosse compromessa perché a causa della diagnosi iniziale sbagliata avevo perso del tempo, da luglio quando ho fatto la prima ecografia a dicembre sono tanti mesi”.
“Dopo la diagnosi cosa ha fatto?
Il tumore era aggressivo e, dato che ero incinta, non credevo ci fossero tanti strumenti per curarmi. Invece fortunatamente sono stata indirizzata dalla dottoressa Lucia Del Mastro dell’Ist (Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro), la quale mi ha spiegato che l’intervento lo avrei potuto fare subito. Ma anche la chemioterapia l’avrei potuta iniziare subito nonostante la gravidanza. Alla 26a settimana mi hanno operata e dopo una settimana ho iniziato la chemioterapia”.
Ma si è trattato di una terapia sperimentale?
“I farmaci erano quelli classici per la cura del tumore al seno ma la novità dipendeva da uno studio relativo alla somministrazione che era lentissima: invece di durare un’ora ne durava 72”.
Quindi l’innovazione derivante dalla ricerca stava proprio nella somministrazione di un farmaco molto diluito che però necessitava di tanto più tempo.
“Sì, stavo attaccata a una pompa che lentamente mandava queste goccioline di farmaco ma era l’unico modo per evitare effetti tossici alla bambina”.
Così le è passata la paura?
“All’inizio ero impaurita ma dopo che ho parlato coi medici è cambiato il mio approccio mentale. È stata la cosa fondamentale per me: avere delle persone che mi spiegavano molto chiaramente che potevo curarmi senza compromettere la salute di Anna. Ho fatto due cicli di chemioterapia durante la gestazione e quando è stato possibile ho fatto un cesareo per far nascere la bambina che stava bene nonostante fosse un pochino pretermine. Poi ho potuto finire chemioterapia e radioterapi. Sono passati 5 anni e ora siamo in salute. Ovviamente non ho potuto allattare perché prendevo dei farmaci che erano pericolosi per la bambina ma è andato comunque tutto bene”.
Come è nata l’idea di fare la testimonial della campagna per la ricerca?
“Attraverso la mia oncologa Lucia Del Mastro che è una ricercatrice Airc. Ho accettato perché quando a me hanno detto che avrei potuto fare la chemioterapia in gravidanza, sono caduta dalle nuvole. Non lo avevo mai sentito prima e sono una che si informa sull’argomento. Quindi ho pensato che se allora avessi saputo di una donna che l’aveva già fatto, mi avrebbe dato sicurezza. Perché un esempio è sempre qualcosa di utile. E poi la dottoressa Del Mastro ha portato avanti delle ricerche sulla fertilità nelle donne sottoposte a chemioterapia. Accettare mi è sembrato doveroso perché io dai medici sono stata davvero aiutata, sostenuta e curata. Ci tengo a dire che sono una grossa risorsa e a loro bisogna sapersi affidare”.
Nessuna testimonial famosa è stata scelta per la campagna 2015 dell’Airc a favore della ricerca sul cancro. Perché chi meglio di una donna che è scampata a un tumore può testimoniare quanto serva finanziare la ricerca? Chi meglio di una madre che ha potuto mettere al mondo una bellissima bambina proprio grazie ai progressi della scienza può dimostrare quanto sia utile e necessario aiutare le ricercatrici e i ricercatori dell’Airc nella loro opera che va avanti da 50 anni? Per questo Valentina Robino è uno dei volti della campagna che approfitta della festa della mamma per diffondere nelle piazze italiane le sue azalee per la ricerca.
Quella di Valentina è una storia emblematica e noi le abbiamo chiesto di raccontarcela.
“Era l’estate del 2009, ero in vacanza e una mattina facendo la doccia ho sentito un nodulo sotto l’ascella. Mi sono spaventata e così sono tornata a Genova e sono andata in un centro privato per accertamenti. Ma il medico che mi ha fatto l’ecografia ha riso delle mie preoccupazioni e in genovese mi ha detto che si trattava di una ‘belinata’. Ho chiesto se fosse necessario fare altri controlli ma mi ha detto che non c’era bisogno e che stavo meglio di lui. Pochissimi giorni dopo, sempre durante la vacanza, ho scoperto di essere incinta della mia seconda figlia Anna”.
E il nodulo?
“È rimasto lì e io sentivo che cresceva molto velocemente ma, visto che ero stata rassicurata, in principio ho pensato che aumentasse di volume perché in gravidanza il seno cresce. Anche se la preoccupazione c’era perché in pochi mesi era raddoppiato ed era diventato doloroso. Finalmente durante una visita di controllo della gestazione ne ho parlato alla mia ginecologa che mi ha invitata ad andare subito a fare accertamenti. A qual punto le ho detto che avevo già fatto un’ecografia ma lei ha insistito perché andassi da uno specialista. Così ho fatto e il medico, già sulla base della precedente ecografia, mi ha detto che era un nodulo sospetto e che era necessaria una biopsia”.
E l’esito della biopsia quale è stato?
“Carcinoma ‘triplo negativo’, uno dei più aggressivi e difficili da curare perché con un indice di proliferazione elevato. Ma io ero già alla 25 settimana di gravidanza e questa diagnosi è stata come ricevere un pugno in faccia. In meno di tre mesi, da meno di un centimetro, il tumore era diventato di 2.7 e quindi andava velocissimo. Mi è venuto il panico e ho temuto che la situazione fosse compromessa perché a causa della diagnosi iniziale sbagliata avevo perso del tempo, da luglio quando ho fatto la prima ecografia a dicembre sono tanti mesi”.
“Dopo la diagnosi cosa ha fatto?
Il tumore era aggressivo e, dato che ero incinta, non credevo ci fossero tanti strumenti per curarmi. Invece fortunatamente sono stata indirizzata dalla dottoressa Lucia Del Mastro dell’Ist (Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro), la quale mi ha spiegato che l’intervento lo avrei potuto fare subito. Ma anche la chemioterapia l’avrei potuta iniziare subito nonostante la gravidanza. Alla 26a settimana mi hanno operata e dopo una settimana ho iniziato la chemioterapia”.
Ma si è trattato di una terapia sperimentale?
“I farmaci erano quelli classici per la cura del tumore al seno ma la novità dipendeva da uno studio relativo alla somministrazione che era lentissima: invece di durare un’ora ne durava 72”.
Quindi l’innovazione derivante dalla ricerca stava proprio nella somministrazione di un farmaco molto diluito che però necessitava di tanto più tempo.
“Sì, stavo attaccata a una pompa che lentamente mandava queste goccioline di farmaco ma era l’unico modo per evitare effetti tossici alla bambina”.
Così le è passata la paura?
“All’inizio ero impaurita ma dopo che ho parlato coi medici è cambiato il mio approccio mentale. È stata la cosa fondamentale per me: avere delle persone che mi spiegavano molto chiaramente che potevo curarmi senza compromettere la salute di Anna. Ho fatto due cicli di chemioterapia durante la gestazione e quando è stato possibile ho fatto un cesareo per far nascere la bambina che stava bene nonostante fosse un pochino pretermine. Poi ho potuto finire chemioterapia e radioterapi. Sono passati 5 anni e ora siamo in salute. Ovviamente non ho potuto allattare perché prendevo dei farmaci che erano pericolosi per la bambina ma è andato comunque tutto bene”.
Come è nata l’idea di fare la testimonial della campagna per la ricerca?
“Attraverso la mia oncologa Lucia Del Mastro che è una ricercatrice Airc. Ho accettato perché quando a me hanno detto che avrei potuto fare la chemioterapia in gravidanza, sono caduta dalle nuvole. Non lo avevo mai sentito prima e sono una che si informa sull’argomento. Quindi ho pensato che se allora avessi saputo di una donna che l’aveva già fatto, mi avrebbe dato sicurezza. Perché un esempio è sempre qualcosa di utile. E poi la dottoressa Del Mastro ha portato avanti delle ricerche sulla fertilità nelle donne sottoposte a chemioterapia. Accettare mi è sembrato doveroso perché io dai medici sono stata davvero aiutata, sostenuta e curata. Ci tengo a dire che sono una grossa risorsa e a loro bisogna sapersi affidare”.