Olio di palma, il rischio tossicità sta nella raffinazione, ma i sostituti non sono molto meglio

L’Efsa non assolve il prodotto ma invita ad evitare gli allarmismi: solo un’esposizione prolungata può provocare problemi renali

Olio di palma il rischio tossicità sta nella raffinazione ma i sostituti non sono molto meglio
di Redazione

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Quella contro l’olio di palma sembra essere diventata una guerra di religione. Un conflitto davvero simile a quelli fideistici perché suscita reazioni simili a quelle di fazioni dedite a credi opposti. In questi, come in altri casi, è utile usare la ragione e la conoscenza: le informazioni sono a disposizione ma meglio sarebbe scegliere quelle che possano vantare una base scientifica. Noi siamo qui per questo e vi proponiamo le affermazioni di Marco Binaglia, esperto scientifico dell’Efsa (L’agenzia europea per la sicurezza alimentare) che ha partecipato alla stesura del dossier pubblicato a maggio sui rischi per la salute delle sostanze tossiche presenti negli oli vegetali.

Sotto accusa il processo di raffinazione industriale

Il problema non è l’olio di palma in sé, ma il processo di raffinazione industriale che può sprigionare sostanze tossiche per l’organismo. «È importante che il consumatore faccia le proprie scelte in modo consapevole e non sulla base dell’onda emotiva», sottolinea Marco Binaglia, esponendo i risultati dello studio ripresi da La Stampa. Dal documento commissionato all’Efsa dalla Commissione Ue emerge come il problema stia nella «presenza di alcuni contaminanti negli alimenti e in particolare negli oli vegetali che vengono sottoposti a processi di raffinazione. Le concentrazioni medie di queste sostanze (2-MCPD, 3-MCPD e glicidil esteri) che si formano quando il glicerolo, naturalmente presente negli oli vegetali, viene lavorato ad alte temperature, sono risultate da 6 a 10 volte superiori nell’olio di palma rispetto ad altri oli alimentari».

I rischi per la salute

Secondo Binaglia, «un’esposizione prolungata ad alte concentrazioni del contaminante 3-MCPD può provocare problemi renali e avere effetti sul sistema riproduttivo maschile. Sui 2-MCPD non è stato possibile trarre conclusioni per via della scarsa disponibilità di dati tossicologici mentre la categoria per cui abbiamo espresso maggiore preoccupazione sono i glicidil esteri (GE): sostanze potenzialmente in grado di danneggiare il genoma umano e di aumentare l’incidenza di tumori».

Più esposti i piccoli

«I rischi riguardano in modo particolare le fasce più giovani della popolazione, sia perché i bambini consumano una quantità maggiore di cibo in rapporto al peso corporeo, sia perché generalmente prediligono alimenti a elevata concentrazione di olio di palma, come biscotti e varie tipologie di prodotti da forno. L’Efsa ha espresso particolare apprensione per i neonati nutriti esclusivamente con latte artificiale, perché la concentrazione di GE è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica».

Le giuste dosi

Riguardo le quantità tollerabili dall’organismo «siamo stati in grado di fare una valutazione solo per i contaminanti 3-MCPD: l’Efsa ha fissato una dose giornaliera tollerabile di 0,8 microgrammi per chilo di peso corporeo. Va però detto che il nostro approccio è decisamente più restrittivo rispetto a quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che ha indicato il limite di sicurezza in 4 microgrammi».

Meglio non associare i prodotti che contengono olio di palma

Il problema è che «la percentuale di olio di palma può variare molto tra un prodotto e l’altro. Si può comunque stimare che per un bambino il consumo di una merendina contenente il 20 o 30% di olio di palma potrebbe portare a dosi giornaliere vicine a 0,8 microgrammi. Se a questa si associa ad esempio un pacchetto di cracker si rischia di sforare il “tetto di sicurezza” stabilito dai nostri parametri».

Processi produttivi sotto accusa

Se i rischi per la salute sono legati ai processi di raffinazione industriale, ci si chiede perché non li si possa rendere più sicuri. «È una responsabilità che spetta ai produttori, ma sappiamo che in questi anni non sono rimasti a guardare. Lo studio ha messo in luce che i livelli di GE negli oli e grassi di palma si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015: questo lascia dedurre che l’industria stia lavorando per incrementare la qualità e la sicurezza degli alimenti che finiscono sulle nostre tavole». La risposta è presto data: l’estrazione a caldo è più efficiente dal punto di vista della resa mentre quella a freddo è più onerosa e renderebbe il prodotto finito più caro. Il problema è sempre lo stesso: se vuoi un cibo salutare devi essere disposto a pagarlo di più.

Eliminarlo o no?

Ci sono marchi della grande distribuzione che, per non rischiare, hanno deciso di eliminare i prodotti all’olio di palma come la Coop. «Naturalmente ogni azienda decide per sé, ma è chiaro che eliminando l’olio di palma non si risolve il problema. Come abbiamo già detto questi contaminanti, seppure in percentuali minori, sono presenti in tutti gli oli vegetali», avverte ancora Binaglia.  

La soluzione

La soluzione sembra quindi quella di un consumo moderato di prodotti confezionati, perché se il problema sta nel processo di raffinazione degli oli vegetali, anche eliminare i prodotti all’olio di palma potrebbe non giovare. Infatti «l’acceso dibattito sull’olio di palma si inserisce in un contesto generale di crescente attenzione verso un’alimentazione corretta ed equilibrata. Questo processo virtuoso non deve però degenerare in ondate di emotività o facili allarmismi, anche perché bisogna tenere presente che il sistema di sicurezza alimentare in Europa - grazie alla legislazione e ai rigidi controlli sugli alimenti - è tra i più sicuri, se non il più sicuro al mondo».

28/12/2016
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