L'omicidio di Marta Russo
Marta, si chiamava Marta. Accadeva di maggio. 9 maggio 1997. Accadde nel più grande ateneo d’Europa, La Sapienza a Roma. Mi ricordo che in redazione arrivò la telefonata di Lanfranco, il nostro informatore in Questura, giornalista in pensione che avvertiva tre, quattro, cinque testate che era accaduto un fatto brutto, un fattaccio. Accadde che disse che una studentessa era stata colpita da un sasso in testa. Ci precipitammo tutti: giornali, radio, tv, i media di quel mondo antico e analogico dove c’erano ancora i telefoni a gettone. Era 21 anni fa, e faceva caldo a Roma, sotto la Minerva della Sapienza, in quell’angolo dell’università che ha attraversato chiunque abbia studiato in quell’ateneo. Il mio. L’ateneo dove anche io mi sono laureata.
Poi la versione cambiò in breve, in poche ore. Non era un sasso, era un proiettile. Eravamo giovani anche noi, allora, quando accadde. Giovani giornalisti sgomenti davanti a una cosa gigantesca, mostruosa e terribile. I grandi inviati arrivarono dopo, molto dopo. All’inizio fummo noi cronistini a tenere botta, chiamare i capi con il gettone, spiegare: “L’hanno colpita qui alla Sapienza, è in coma, è gravissima, si chiama Russo Marta, nata a Roma, 13 aprile 1975. Non è un sasso, qualcuno ha fatto fuoco”.
Mi ricordo che quell’angolo dell’università dove Marta fu uccisa senza un motivo, in breve divenne una piazza, migliaia di studenti sconvolti e attoniti, chi portava un peluche, chi un fiore. Mi ricordo lo sconcerto di tutti quei ragazzi che marciarono per Marta alla Sapienza che ventuno anni dopo resta il medesimo fortino di potere. E marciammo anche noi cronisti giovani all’ospedale, in Questura, fino in Tribunale a piazzale Clodio, tra le stanze di Filosofia del diritto. Mi ricordo che Marta, Marta Russo, aveva un fidanzato. Entrò al Policlinico dove lei era ricoverata con un disco di Ramazzotti in mano, una canzone. La loro. Sarà sarà l’aurora, vedrai che presto tornerai dove adesso non ci sei… In quella corsia io mi ricordo un ragazzino che piangeva come si piange a vent’anni, diceva per sempre amore mio, svegliati, noi due per sempre amore mio. Per sempre è un tempo breve. Dura un respiro, dura il tempo di una margherita dall’università al cimitero del Verano. Marciammo ai funerali, attoniti, con i genitori di Marta, due giganti tagliati in due eppure scolpiti nella dignità, questa piccola famiglia distrutta e senza pace, i sacrifici per mandarla a studiare e poi un proiettile bum bum e addio Marta, per sempre Marta, così piccola in una bara gigantesca. La famiglia Russo donò tutti gli organi della loro figlia appena ragazza, bellissima e bionda: fegato, reni, cornee. Il pancreas fu utilizzato per estrarre insulina e salvare altre persone. Con il cuore di Marta vive ancora oggi Domenica Virzì, casalinga di Catania.
Io mi ricordo di te Marta, per sempre ragazza. E tutto il chiaro, e di più ancora che purtroppo non hai potuto avere. Mi ricordo un'indagine condotta male, i silenzi, le omertà, i voltafaccia, le forzature della Procura, le indagini condotte male e un istituto intero del primo ateneo d'Europa coinvolto in un omicidio. Mi ricordo che arrivò la Scientifica per capire da dove era partito quel proiettile, da dove, come in quale punto. Prendevano le misure, cercavano di definire la traiettoria. E la traiettoria era quella, primo piano Filosofia del diritto, una finestra, forse usata per gioco, per capire fino a che punto la Legge è tale, ci tutela, per capire i limiti del delitto perfetto, le sue slabbrature, l'infinito dell'orrore.
Furono accusati in due, ma solo nel 2003: Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, due assistenti di quella facoltà. Il primo per omicidio colposo, il secondo per favoreggiamento. Si sono sempre professati innocenti e hanno pagato, semmai, il loro debito. Ma io me la ricordo quella storia, i coinvolti usciti di scena - Lipari, Liparota, Alletto - mi ricordo la stampa addosso, la ricerca in fretta del colpevole, ma pure l'atmosfera tesa, brutta, equivoca in un palazzo della Sapienza. Da dove uscirono fuori storie di magazzini con le armi, giochi pericolosi con una calibro 22. E soprattutto troppi baroni in silenzio.
Mi ricordo Marta soprattutto, che non so se ha mai ha avuto giustizia, morta a 22 anni, che studiava Giurisprudenza mentre fuori era quasi estate.
Musiche di www.fiftysounds.com
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