Il Podcast ROSA CRIMINE

Nico, la bellissima cantante che fece innamorare Andy Warhol: una valchiria ribelle che scambiava le siringhe di eroina con il figlio

di   Daniela Amenta

Il titolo più corretto per definire la breve parabola di Christa Päffgen, in arte Nico, l'ha scelto la sua ultima biografa Jennifer Otter Bickerdike: “You are beautiful and you are alone”. Sei bella e sei sola. Più che bella, bellissima Nico. E sola come un puntino nel deserto dell'anima. Statuaria, algida, viso perfetto su un corpo da valchiria. Tanto che muove i primi passi nel mondo dello spettacolo come modella per poi improvvisarsi cantante, attrice, movimentatrice culturale.

Una forma d'arte chiamata Nico

Qualunque cosa facesse, nel bene o nel male, la performance era lei, lei la forma d'arte. Lei Nico, una vita che è una sequenza di date, avvenimenti tutti da confermare. Nata nella Germania nazista, a Colonia nel 1938 (ma c'è chi dice in Ungheria forse nel 1936), figlia di una sarta e di un militare della Wermacht, forse ucciso da un commilitone, forse morto pazzo in un manicomio dopo la guerra. Fugge con la madre a Berlino dopo la caduta di Hitler, lavorano entrambe in un Grande Magazzino e qualcuno nota quella favolosa ragazzina bionda, dai tratti spigolosi come fosse una fanciulla del ghiaccio, una fanciulla con una voce cavernosa, baritonale.

L'esordio a Parigi

Il primo a “vederla” è un fotografo di moda, Herbert Tobias, che le cambia il nome in Nico e la porta a Parigi. Negli anni Cinquanta entra nel giro delle sfilate che contano, dicono o lei stessa suggerisce di aver fatto innamorare Coco Chanel, la star del cinema francese Jeanne Moreau ed Ernest Hemingway.

Misteriosa e ribelle

Ma mentre cresce l'alone di mistero per questa creatura fluida, moderna, indefinibile è la stessa Nico a far saltare il banco di quel mondo fatto di agi, lusso, vestiti magnifici. Non si presenta agli appuntamenti, diserta i salotti che contano, è sempre più irrequieta, ribelle.  Nico, come scrive The New Yorker, è la maschera che indossa una ragazza timida e sola che nel 1958, a Roma, entra per caso sui set prima con Lattuada ne "La Tempesta", poi nel 1960 per “La Dolce Vita” di Fellini.

La Nicolina di Mastroianni

"Nicolina" la chiama Mastroianni. Fa cinema a casaccio, senza tempi, senza studio. Fa quello che capita, compra una casa a Ibiza, decide di portarci la madre che si sta ammalando di Parkinson. Quando ottiene un'altra occasione, con il film “Delitto in pieno sole”, si presenta mesi dopo l'inizio delle riprese ma incontra Alain Delon l’uomo che nel 1962 le darà un figlio: Ari, il bambino mai riconosciuto dall'attore francese nonostante una somiglianza impressionante, figlio cresciuto dalla mamma di Alain e dal suo secondo marito, Paul Boulogne che gli diedero un tetto, un cognome e molto amore. Amore che purtroppo non è bastato ad aiutarlo.

Il figlio tossicodipendente

Tossicodipendente già a 16 anni, "perché scambiava le siringhe di eroina con Nico", figlio morto in solitudine come lei. È proprio lei, Nico, a dichiararsi incapace di prendersi cura del piccolo Ari mentre vola a New York per studiare all'Actor's Studio. Ed è in America che Nico rinasce.

La rinascita

Se ne innamorano tutti ma lei chissà se prova una briciola passione per quello stuolo di amanti/spasimanti che le dedicano concerti, canzoni: Jim Morrison, Bob Dylan, Brian Jones dei Rolling Stones, il mai corrisposto Leonard Cohen, Jackson Browne, Iggy Pop che la ricorda come una specie di madame elegantissima che “traboccava di oscuro” e che per gli strafatti Stooges (che “non si cambiavano mutande e calzine per giorni”) preparava cene d'alto bordo con candele, ostriche e vini francesi.

Se ne innamora anche Andy Warhol

Se ne innamorano tutti ma forse, oltre la maschera, non la ama nessuno. Ci perde la testa anche Andy Warhol che da omosessuale colto sapeva riconoscere il fascino e il talento, che rimane incantato "dalla più bella" con pantaloni e blazer, look androgino e classe da vendere. Il re della Factory la impone ai Velvet Underground che all'inizio la detestano, poi la subiscono, infine ne rimangono stregati a fasi alterne, a cominciare da Lou Reed con cui ha una relazione tumultuosa, per proseguire con John Cale che invece le diventa amico, il più fedele tra i collaboratori e sostenitori sonori negli anni a venire.

Il disco- spartiacque del rock

Fatto sta che nel 1967 esce il disco- spartiacque del rock, firmato da Velvet Underground and Nico, in copertina la banana di Warhol, e la magnifica ragazza di Colonia entra dalla porta principale nella storia della musica. È la Chelsea Girl di Warhol e Cohen, è una Greta Garbo punk, è la Marlene Dietrich del neo-dark con quella voce profondissima, monotona, assurda, eppure fascinosa e sacerdotale. “The Marble Index", "Desertshore" e "The End", i tre dischi pubblicati tra il 1968 e il 1974, contenenti per lo più canzoni sue, sono austeri miracoli di volontà e invenzione per salvarsi, forse, dal pozzo della solitudine.

La dipendenza dalla droga

E poi, poi come in ogni fiaba al contrario e senza lieto fine, arriva l’eroina. Nico ritorna in Francia con il regista Philippe Garrel, anche lui tossicodipendente, insieme nel 1981, si trasferiscono a Manchester, dove la roba costa meno e le case occupate sono alla portata di tutti. Tra il 1982 e il 1988 si tinge i capelli di nero, compone “Drama of Exile” e “Camera Obscura”, sempre più opprimenti e claustrofobici e tiene più di milleduecento concerti pur di racimolare soldi a sufficienza per la droga. Dicono che non possedesse quasi nulla, a parte un paio di stivali da motociclista, qualche libro, una borsa di pelle e l'attrezzatura per farsi.

L'incontro col figlio Ari

È a questo punto che va ad Ibiza, prende in affitto un cottage in collina, ritrova Ari, il figlio, con cui si scambia siringhe e ricordi, cerca anche di disintossicarsi con il metadone. Il 17 luglio del 1988 prende la bici per andare in paese: vuole comprare marijuana e forse delle lenticchie, il suo cibo preferito. Non si sa se fu un colpo di sole, un ictus, un malore, non si sa.  Fu trovata sul ciglio della strada da un tassista, parzialmente paralizzata e incapace di parlare. Tre ospedali la respinsero. Al quarto, le fu diagnosticata un'emorragia cerebrale e morì il giorno dopo, da sola. Ari si accorse dell’assenza della madre solo molte ore dopo. La giovane coppia che provò a prestarle soccorso, prima dell’arrivo del tassista, disse che era sdraiata al sole accanto alla sua bicicletta. Stringeva un libro in mano. Era di Oscar Wilde, nato il 16 ottobre come lei. Aveva solo 49 anni ed era ancora bellissima.

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