Mia Martini, il mistero della morte e la gelosia di Ivano Fossati: la regina senza trono

di Daniela Amenta

Cosa non si perdona a una donna di talento, di successo, una donna con una sensibilità così imponente, importante da prendersi la scena anche quando la giostra dello show business decide di spegnere i riflettori?  La libertà non si perdona. Mia Martini, detta Mimì, era libera, soprattutto e sopra ogni altra cosa. Così libera da far tremare il mondo vacuo dello spettacolo, tanto mestamente autoreferenziale, chiuso, attraversato da invidie, gelosie . Lei la libertà l'aveva cantata addirittura nel 1977, rischiando la censura, con un pezzo in cui si definisce "donna abituata a camminare da sé" che può scegliere se essere madre oppure no. Fin troppo esplicita nella santa cattolica Repubblica Italiana. Troppo libera, troppo brava, con la schiena dritta nonostante i dolori, troppi. Quelli inferti da chi la insultava dicendo che portasse sfortuna per cancellarla dalle scene.

In prigione per una canna

E' stata mille formidabili realtà Mimì Bertè, nata in Calabria nel 1947, battezzata con un nome lunghissimo: Domenica Rita Adriana, che scelse di chiamarsi Mia come Mia Farrow, la sua attrice preferita . Ex ragazza ye-ye, un modello che le stava stretto, tanto che in breve cambia registro, tono, guarda: un po' zingara, un po' hippie talmente trasgressiva da essere sbattuta in carcere per una canna di marijuana, stravagante stella delle notti romane in compagnia della sorella Loredana e di Renato Zero, fino a diventare voce delle inquietudini di una generazione con “Oltre la collina”, concept album bello e complesso come lei.


Una voce con mille voci dentro

E poi quella voce, certo. Quella voce che arrivava dai tumulti dell'anima, quelle venature roche, profonde, da vera cantante soul cresciuta ascoltando le magnifiche signore della musica nera, quella capacità di dare corpo, ritmo, fisicità alle emozioni . Per l'intero decennio dei Settanta Mia Martini è stata una star senza se e senza ma, contesa dai più grandi autori: Baglioni, Battisti, Lauzi, Califano, Dario Baldan Bembo, Maurizio Fabrizio, Venditti. Un successo dietro l'altro: “Piccolo Grande Uomo”, “Minuetto” che rimane ai vertici della hit parade per 22 settimane di seguito, milioni di copie vendute quando i dischi si compravano e non c'era lo streaming a falsare il mercato. E quindi i premi: il Cantagiro, il Festivalbar, Venezia. Finché anche in Germania, in Francia e in Spagna si invaghiscono di quella giovane donna italiana: bella, bruna, volitiva, che, quando apre bocca ti fa venire i brividi e che nel tempo si dimostra anche un'ottima cantautrice.

La diatriba tra case discografiche

È un crescendo di attenzioni, c'è chi la paragona a Edith Piaf fino ad essere celebrata nel 1974 come voce dell'anno per la critica europea. Mimì, insomma. Così libera da reinterpretare John Lennon e la meravigliosa canzone brasiliana di Vinícius de Moraes e Chico Buarque De Hollanda, è così duttile da riuscire a gestire un proprio programma televisivo, incidere un album come “Sensi e Controsensi” e vincere il referendum di Tv Sorrisi e Canzoni "Vota la voce" in cui risulta la migliore tra le donne . L'avrebbero dovuto tutelare già da allora, metterla al riparo, lasciarle solo il privilegio della musica. E invece Mimì viene trascinata nella diatriba tra case discografiche, lascia la Ricordi, ritorna alla Rca e finalmente arriva un album che le restituisce armonia. Si intitola “Che vuoi che sia... se t'ho aspettato tanto” del 1976 dove la supporta Amedeo Minghi, Mango, Stefano Rosso, Luis Bacalov, e che la porta dritta all'Olympia di Parigi dove anche Charles Aznavour si inchina davanti al talento di Mia Martini. Applausi, fiori in camerino, titoli entusiastici sui giornali. 

La gelosia di Ivano Fossati

Quasi alla fine degli anni 70 conosce Ivano Fossati, inizio di un sodalizio artistico e sentimentale tanto profondo quanto tumultuoso come sono spesso le costruzioni degli amori, altari di sabbia in riva al mare. “Era geloso perfino del mio talento”, dirà Mimì a più riprese. Una relazione dolorosa che la segna profondamente .

Gli interventi alle corde vocali e le maldicenze

Le ragazze libere non hanno mai vita facile: cadono, si rialzano, si fermano per riprendere fiato, ripartono. Due interventi alle corde vocali, la morte del suo road manager, la fine della storia con Fossati e un venticello sempre più malevolo, insopportabile. Qualcuno mette in giro la voce che Mimì porti sfortuna: tutte cazzate, solo cattiverie, maldicenze. C'è chi si rifiuta di nominarla, chi esce dal ristorante se entra lei, azzerati concerti, apparizioni in radio e in tv .

Il ritorno a Sanremo

Lei reagisce, torna a Sanremo nel 1982 con una canzone magnifica scritta da Fossati: “E non finisce mica il cielo” interpretata con una potenza, una forza, una bellezza che commuovono. Il pezzo arriva solo nono, che vergogna, ma si aggiudica il Premio della Critica di Sanremo ideato solo per non ridicolizzare una giuria di sordi. Premio che, dopo la sua morte, porta proprio il suo nome, tributo postumo del Circo Barnum dello spettacolo .

I concerti-evento

Non molla Mimì, nonostante le cicatrici, la sofferenza, l'isolamento. Al Teatro Ciak di Milano nel 1983 organizza due concerti-evento dove omaggia anche Fabrizio De André che la adorava e l'amico Francesco De Gregori, uno dei pochi che le resterà sempre vicino fino a dedicarle un brano struggente come “Mimì sarà”.   Il pubblico si spella le mani ma non basta, viene esclusa dall'Ariston nel 1985 nonostante la canzone, “Spaccami il cuore”, fosse stata scritta da Paolo Conte . Si fa forza con la tempra che hanno i fragili quando vengono colpiti alle spalle.

Altri due premi a Sanremo

Si rialza ancora, indomita guerriera, e per due anni di seguito rivince il premio della critica a Sanremo . La prima nel 1989 con “Almeno tu nell'universo”, altro immortale capolavoro che vende e la riporta in classifica a dispetto dei detrattori e poi di nuovo, nel 1990 con “La Nevicata del 1956”. È così elegante con quei capelli ricci e un abito da derviscia, è così incredibilmente autentica poi, negli anni a seguire, a cantare Napoli con Roberto Murolo ed Enzo Gragnaniello, a dare spessore alle intuizioni melodiche di Mimmo Cavallo, altro amico vero. Quando nel 1994 incide “La Musica che mi gira attorno”, il suo ultimo album, riesce a rileggere la grande canzone d'arte italiana con un tocco, un pathos, una potenza che dimostra la mediocrità altrui, è la luce di una stella nel buio della notte, è la nostra Billie Holiday che invece di una gardenia profumata di zagara .

La morte in solitudine

Domenica Rita Adriana detta Mimì muore in perfetta solitudine, metafora di un'esistenza, in un appartamento a Cardano al Campo, in provincia di Varese, il 12 maggio del 1995. E anche sulla sua fine è arrivata troppo presto, a soli 47 anni, è un crescendo di ipotesi. Un mistero insolubile e mai chiarito. C'è chi parla di suicidio, chi usa questa tragedia per gettare altro fango su Mimì, la meravigliosa . La realtà, comunque la si voglia leggere, è che Mia Martini ci ha lasciato ma continua a esistere nel ricordo di chi l'ha amata, il suo fans club ad esempio - Chez Mimì - che la definisce con esatta, drammatica precisione "regina senza trono" e ogni anno a maggio, tra l'altro, organizza un concerto il suo onore. Un pezzo di cielo è finito quel giorno del 1995. Un altro continua a risplendere ogni volta che una ragazza libera alza la voce e si prende l'universo. Perché è lì che Mimì continua a cantare, a brillare "come un diamante in mezzo al cuore".