Per avere quella voce, la voce di una nera, la voce del blues, la voce che è strazio ed estasi, non basta il talento. Per avere quella voce che è miele e catrame, quella voce che è un urlo, bisogna avere il cuore martoriato. Aver collezionato così tanti dolori da trasformare la propria voce in un inno, un monumento, la prova che ogni cicatrice non si dimentica, resta lì, tra i polmoni e le labbra.
Concentrato di autodistruzione e genio selvaggio
Resta lì pronta ad esplodere. Janis Lyn Joplin è stata una bomba ad orologeria, un concentrato di potenza, di autodistruzione, di genio selvaggio, di regole scardinate. È stata l'artista che più di ogni altra ha saputo esprimere una sensualità animale sul palco senza alcun trucco, alcuna moina. Un rapporto carnale con il pubblico. Lo diceva. Diceva: "Ogni volta che tengo un concerto faccio l'amore con diecimila persone, poi torno a casa, da sola". Fragile e sboccata, tossica e idolatrata, una che per citare l'amico Nick Gravenites era "matta, casinista, alcolista, emancipata, capace di scatenare l'inferno e che bestemmiava come un taglialegna”.
Matta, alcolista. Rapporti liberi con donne e uomini
Una che all'epica dei figli dei fiori nell'America degli anni Sessanta preferiva i motori, la sua Porsche venduta poi all'asta per un milione e mezzo di dollari, o una Harley Davidson o una Mercedes Benz. Una che non faceva mistero dei rapporti liberi con donne e uomini e mostrava come una medaglia la bottiglia di Southern Comfort. Una, cioè l'unica, che nonostante il piglio da leonessa sapeva cantare ogni ferita, ogni solitudine, ogni paura. Era nata a Porth Arthur, in Texas, il 19 gennaio del 1943, pelle bianca e un’anima black, figlia di un cattolicissimo ingegnere della Texaco e di una segreteria scolastica. Bullizzata da ragazzina a scuola, perché sovrappeso e con la pelle rovinata dall'acne. All'università la definirono "l'uomo più brutto del campus". E poi, diamine, non era neppure razzista, altro stigma insopportabile nella profonda America di ieri e purtroppo anche di oggi. "Ero una disadattata. Leggevo, dipingevo, pensavo. Non odiavo i negri", raccontò lei in un'intervista. Non li odiava, anzi amava proprio la musica nera, Bessie Smith in particolare, il suo modello, il suo idolo.
Solo tre anni per sconvolgere la musica
Amava la black music e quando cantava la gente rimaneva stordita. Per questo non finì gli studi Janis, si mise in strada, on the road, e fece l'autostop per andare a San Francisco. "Non c'era niente che poteva trattenermi in Texas, la mia testa era altrove", spiegò. L'altrove era la California, appunto, quella sorta di Comune psichedelica che diventò la sua nuova famiglia, dove incontrò la propria band, Big Brother and the Holding Company, e come vicini di casa i Grateful Dead, i Quicksilver Messenger Service, i Jefferson Airplane. Una carriera brevissima, concentrata in tre anni, tra il 1967 e il 1969, tre album più un disco postumo intitolato Pearl, il suo soprannome, perché Janis era una perla nascosta dentro una gigantesca conchiglia.
Appena 40 chili, distrutta da alcol ed eroina
Era la perla che diceva alle ragazze che potevano emanciparsi, vivere la vita che volevano, indossare cappelli hippie con le piume e occhiali rotondi, potevano provare rabbia, amore, potevano ipotizzare un futuro tutto da scrivere e usare il loro corpo come credevano. Lei ne abusò, di quel corpo, che nel tempo era diventato minuto, a un certo punto pesava appena 40 chili, un corpo distrutto da alcol e roba, roba fortissima. Secondo le stime, nel 1969 Janis comprava circa 200 dollari di eroina al giorno (equivalenti a 1.600 dollari di oggi) e nonostante gli sforzi non riuscì mai a disintossicarsi. Per questo perse amori, amicizie, finì in carcere.
Una bianca con la voce di una nera, la voce del blues
Un personaggio tragico, che riassumeva tutte le contraddizioni, le frustrazioni, le disperazioni di quella stagione americana che non riusciva a fare i conti con il passato e a immaginare un domani certo, non era in grado di mettere assieme il bisogno di libertà e l'idea di costruire una vita dentro nuovi schemi. Eppure, eppure quando cantava continuava a stordire. A Monterey fu l'unica artista alla quale il pubblico chiese il bis nonostante fosse fatta e ubriaca. A Woodstock fu un trionfo, lei corteggiata da tutte le major della musica, invidiata dagli altri musicisti sgomenti davanti a tanto talento primordiale, puro, senza sovrastrutture. Lei che onorava la memoria di Bessie Smith comprandole una lapide, lei che, come scrisse il Time, "si avvicinò al blues autentico più di quanto avesse mai fatto un artista bianco”. Lei amata da B.B. King e da Buddy Guy perché - dissero - "Janis ha dimostrato che il colore della pelle non c’entra nulla con le profondità dell’anima”. Lei che ha cambiato la storia della musica, lei diventata una star senza muovere un dito, la prima donna del rock, mai capita fino in fondo, mai accettata. Neppure dalla stampa.
Trovata morta due settimane dopo Jimi Hendrix
"The Village Voice" scrisse: "Pur non essendo bella secondo il senso comune, si può affermare che Janis è un sex symbol in una brutta confezione". Una brutta confezione… che bassezza, che miseria. Lei che due settimane dopo Hendrix fu trovata senza vita al Landmark Motor Hotel di Los Angeles, era il 4 ottobre 1970. Si accorsero che Pearl aveva smesso di brillare 24 ore dopo il decesso, era riversa sul pavimento. La trovò il suo road manager John Byrne Cooke preoccupato dal fatto che non rispondesse al telefono. Lei che aveva 27 anni. 27 anni come Jimi, come Jim Morrison, come Kurt Cobain, come Amy Winehouse, il numero maledetto del rock. Solo 27 anni e il fuoco dentro.
Si chiamava Janis Joplin e ci ha regalato un pezzo del suo immenso cuore che aveva la forma di una perla.