"Scusami se ti ho fatto del male": quando lei non corrisponde all'ideale di donna canonico e patriarcale e lui fugge
"Scusami se ti ho fatto del male", di Andrea Zuffa, è uno dei brani del libro "Mi racconto per te" del progetto Curvy Pride APS, un’associazione che promuove la pluralità della bellezza
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Il sole rende le strade di Bologna roventi, è giugno e sento la camicia inumidirsi a ogni passo che faccio. C’è una nube di pensieri intorno ai miei occhi, un temporale non previsto, ogni volta che inizio a parlare grandina rabbia. Devo incontrare Fabiana, ci conosciamo da mesi ma non ci siamo mai visti di persona. Sapevo già, Covid o meno, che l’avrei abbracciata appena incontrata. Tutto, dalle sue parole ai suoi occhi brillanti, trasmetteva accoglienza, cura e amore, i tratti distintivi di una guaritrice. Qualcosa di cui in questo momento ho davvero bisogno. La vedo da lontano che mi viene incontro e le faccio un cenno con la mano, accelero il passo e finalmente una piccola parte di me riposa nel suo abbraccio.
Una volta staccati mi squadra da dietro gli occhiali e mi dice: “Che gnocco che sei”. Mi imbarazzo alla velocità della luce e lei lo sa, lo ha detto per quello. Entriamo nel locale in cui ho prenotato e ci accomodiamo nel “giardino” sul retro. Un giardino di città, senza erba e senza alberi. È più che altro un piccolo corridoio che ospita qualche pianta qua e là, accontentandosi di un piccolo rettangolo di cielo. Forse un po’ tutti ci accontentiamo di un piccolo rettangolo di cielo. Ci sediamo al tavolino in fondo sperando di riuscire a rubare un po’ d’ombra, spesso senza riuscirci. Fabiana ordina una birra piccola e io un Bloody Mary, più perché è raro trovare locali che lo propongano che per voglia.
Le racconto cosa mi ha reso libero di domenica a giugno. Sono circa le 14, dovrei essere al lavoro dalle 9 e rimanerci almeno fino a mezzanotte. Non riesco a trattenere la rabbia e il dolore che ho dentro, sento di aver subito un’ingiustizia, di aver subito giudizi sulla mia vita privata da chi aveva il dovere di rispettarla, sento una violenza subdola tornarmi in continuazione negli occhi, sulla pelle. Forse è stato tutto questo male a tradirmi. Fortunatamente il fuoco circondato dall’acqua non può farsi incendio e così, poco prima che la barista ci porti l’ordinazione, le mie parole iniziano a perdere di pesantezza, il fuoco si fa vapore e si libera nell’aria che a quest’ora sembra incendiarsi.
Spesso serve un’anima che possa accogliere tutte le ferite della nostra, anche solo per un momento. Un’anima che le possa trattare per quello che sono, piccoli inconvenienti che servono a tenerci sull’ineluttabile strada su cui si snoda la nostra vita. Solo quel che deve succedere infine succede. Finalmente parliamo anche di altro, tra un gazpacho e un crostino al pomodoro. Il Bloody Mary è davvero ben fatto, equilibrato sia nel dosaggio alcolico che nella piccantezza e quando arriva di nuovo la barista intendo complimentarmi con lei.
Ma la ragazza che ho di fronte non è la stessa di prima e non so perché, forse per abitudine, la squadro dai capelli fino alle scarpe. Ripensandoci, a posteriori, spero non abbia notato così tanta invadenza. I vestiti e il taglio dei capelli sono androgini, per quanto ormai non esista una definizione netta al riguardo, ma il volto, parzialmente nascosto dalla mascherina, e la voce mi pongono davanti una giovane donna.
Eppure qualcosa non torna nella mia mente, che per quanto si sforzi di essere libera ogni tanto si nasconde dietro il peggior pensiero medio borghese. Al di sotto del bordo dei pantaloncini noto sulle gambe una folta peluria, sembrano le gambe di un ragazzo, possono assomigliare alle mie quando avevo vent’anni. Cerco di nascondere quel breve cortocircuito e torno ai suoi occhi, la ringrazio del servizio e le dico di riferire alla sua collega che il Bloody Mary era davvero buono. Una volta allontanatasi torno alle mie chiacchiere, ma quell’immagine mi rimane incastrata dietro agli occhi, mi prude.
Con Fabiana non ne parlo, in parte perché non ho ancora capito cosa è successo dentro di me, in parte perché non voglio scendere dal piedistallo dei martiri così presto. Con onestà posso dire che per quanto la mia idea di donna sia diversa, molto più canonica e forse patriarcale per quanto concerne l’aspetto, nel mio sguardo più che altro c’era stupore. Ma lo stupore non esclude il giudizio, per quanto breve sia stato l’attimo so di per certo che i miei pensieri in quel momento hanno riscontrato qualcosa che han percepito come sbagliato: una donna con folti peli sulle gambe. Il pomeriggio è poi andato avanti come se nulla fosse tra altre chiacchiere, una lunga camminata verso la stazione, il sudore e i saluti, ma quel breve istante si è riproposto nei giorni successivi, come se mi dicesse “finché non mi metti nel giusto spazio, tornerò”... Forse quella ragazza, facente parte delle nuove generazioni che non si ritrovano in vecchie regole scritte da altri, nemmeno si è accorta del mio turbamento.
Del resto è stato un attimo, una minuscola fessura su un muro di certezze. Spero non si sia accorta di niente eppure non riesco a non pensare che io, essendo stato molto tempo dalla sua parte a fare il suo stesso lavoro, me ne sarei accorto subito. Chi lavora a contatto con le persone tende a notare molto in fretta le increspature dell’anima, anche quelle lievi.
Se potessi vorrei scusarmi e spesso me ne ricordo troppo tardi, perché mentre io difendevo il mio diritto a non sentirmi umiliato e giudicato, mentre con rabbia chiedevo solo di non essere deriso per le scelte che compongono la mia felicità, ho riservato lo stesso trattamento a un’altra persona. Certamente è stato solo un momento, un secondo, ed è successo senza che nemmeno lo volessi, ma è senza pensare che a volte si fanno i peggiori danni. Non ho mai creduto nella divisione tra buoni o cattivi, nel mio mondo non esistono confini visibili e tutto si mischia in una tavolozza di colori che cambia di giorno in giorno, di minuto in minuto. Era forse Pirandello che faceva dire a un suo personaggio, schierato con i “buoni”, che basta un sussulto dell’anima e ti ritrovi dall’altra parte?
Quante volte facciamo del male senza rendercene conto? Senza dare importanza ai nostri gesti e alle nostre interazioni? Quante volte pensiamo che il nostro vivere non influisca sul vivere altrui? Vorrei poter avere ora davanti quella ragazza e vorrei che sapesse che mi dispiace, vorrei avere il coraggio di dirglielo guardandola negli occhi; in fondo vorrei avere davanti solo una persona, una sola che racchiuda tutte quelle anime piene di storie e vita alle quali magari ho fatto del male quando pensavo di essere nel giusto. Tutti quelli che ho preso in giro mentre cercavo di non essere deriso da ragazzino. Una sola persona che racchiuda anche me per tutte quelle volte che sono stato il primo a farmi del male. Una sola anima, che è quello che in fondo siamo, per poterle dire: “Scusami se ti ho fatto del male”