Dà angoscia e fa orrore ma non puoi smettere di leggerlo: perché “La metamorfosi” di Kafka resta un successo
Consigliato a chi, almeno per un momento si è sentito diverso, escluso, rifiutato. E’ uno dei libri più letti della narrativa contemporanea
A raccontarlo, fa orrore. Se anticipo di cosa si tratta interromperete questa lettura, è molto probabile. Se invece inizierete a leggere il libro, andrete avanti tutto di un fiato. “La metamorfosi” di Franz Kafka (1915, Giulio Einaudi Editore), sta tutta lì: nel mettere in scena l’angoscia senza tuttavia allontanare i lettori.
L’incipit fulminante
“Un mattino Gergor Samsa, svegliandosi da sogni irrequieti, nel proprio letto si trovò mutato in un insetto mostruoso. Poggiava supino su di una schiena dura come una corazza e, se alzava il capo, vedeva convesso, bruno, il suo addome diviso in nervature arcuate, sopra il quale poggiava una coperta che, in punto di scivolar giù tutta quanta, riusciva a malapena a mantenersi.” Non si conoscono i motivi che hanno trasformato un commesso viaggiatore, affannato e frustrato ma pieno di aspirazioni, in un essere ripugnate agli occhi del mondo. Si domanda: “come poteva essere proprio una bestia se la musica lo afferrava a tal punto?” Ma lo sguardo degli altri è la prima preoccupazione del protagonista, che si chiede: l’azienda per cui lavoro: cosa dirà? Riuscirò prendere il treno e ad arrivare in orario? Mi licenzieranno? Cosa diranno quando mi vedranno? Con un continuo rimando di domande e risposte interiori e la convinzione ingenua, ma al momento tranquillizzante, che se lo avessero visto avrebbero capito che non era colpa sua, se era ridotto così. E in famiglia, cosa avrebbero detto? Sì, perché anche in famiglia, la situazione si rivela un disastro. Gregor non apre la porta, per non farsi vedere, si accorge che la sua voce è mutata e cerca invano di modificarla. “Era la voce di un animale!” dicono in casa. Entrano a forza: la madre alla vista del figlio ha un collasso e il padre aggredisce lo scarafaggio a colpi di bastone, ferendolo e chiudendo poi a chiave la camera del figlio. Lentamente, ma neanche troppo, si passa a una stanza separata, al cibo lasciato fuori dalla porta, a spegnere la luce, a non spazzare per terra e lasciarlo in stato di totale abbandono in mezzo ai detriti. “Deve andarsene”, gridò la sorella, “è l’unico modo, padre…Se fosse Gregor avrebbe visto da tempo che non è possibile vivere con un animale del genere e se ne sarebbe andato di sua spontanea volontà (…) Così com’è questo animale ha cacciato i nostri inquilini, vuole ovviamente impossessarsi di tutto l’appartamento e costringerci a dormire per strada.” La sua fine coinciderà con la felicità sentimentale della sorella Greta.
L’aria della Shoah
C’è, in questo racconto, l’aria della Shoah che sta per arrivare e di cui non si possono non intuire i presagi, se si guardano le date. E c’è il mondo quotidiano, quello di ogni giorno, anche attuale, quando regole dettate da altri ci fanno sentire diversi. Gregor, ai sentimenti degli altri, si adegua lentamente, per non recare disturbo, non essere un peso per la famiglia, e via via si convince che davvero è ripugnante. Dalle descrizioni si capisce che si sta parlando di uno scarafaggio, ma Kafka, prima della pubblicazione del libro, si era raccomandato con l’editore di non mettere assolutamente sulla copertina la raffigurazione di alcun insetto, per non limitare il raggio della descrizione. Un concentrato di pagine in cui entrano dettagli concreti ed emozioni, paura e angoscia, convinzioni sociali più o meno fondate. Molto più della cronaca, la vera letteratura sa infatti mettere sotto i riflettori momenti e realtà concentrate, che vanno ben al di là del singolo racconto. Consigliato a chi, almeno per un momento si è sentito diverso, escluso, rifiutato. E’ uno dei libri più letti della narrativa contemporanea.