In nome della madre, i Vangeli parlano poco di lei: lo fa Erri De Luca nel suo poetico libro
Come altro avrebbe potuto essere una ragazza che non teme di essere ripudiata o lapidata e accetta tranquillamente una gravidanza fuori legge, di un figlio non totalmente suo che finirà condannato a morte?
Quali parole e pensieri aveva Maria, prima che suo figlio nascesse? Come ha custodito quel segreto a cui nessuno credeva? I vangeli parlano poco di lei, del suo carattere buono ma forte. E come altro avrebbe potuto essere una ragazza che non teme di essere ripudiata o lapidata e accetta tranquillamente una gravidanza fuori legge, di un figlio non totalmente suo che finirà condannato a morte?
Erri De Luca l’ha immaginata così, in un libro breve e densissimo, un capolavoro di 80 pagine di pura poesia messa in prosa: “In nome della madre”, Feltrinelli Editore, 2006. Non è ancora un classico, ma lo diventerà. Miriàm/Maria vive nella terra febbrile di Israele, sotto l’occupazione militare di un potere politeista. In questo contesto si svolge la storia di una madre con il figlio in grembo. Erri De Luca ingrandisce il dettaglio accennato nei vangeli della Natività e la fa diventare storia di ogni nascita, che ci appartiene.
C’è un rimando continuo fra straordinario e ordinario, fra una storia che ha marcato la Storia tra un prima e un dopo e la nostra storia particolare.
“Gli angeli. Si sa che sono loro quando se ne vanno. Lasciano un dono e pure una mancanza.”
Entriamo così dentro il cuore di Miriàm, che parla tra sé e sé con suo figlio. “Sei stato messo dentro di me da un fiato di parole, non da un seme. Sarai pieno di vento”. Partorirà da sola, senza l’aiuto di Iosef/Giuseppe perché agli uomini ebrei non era consentito assistere al parto. Quella notte di Natività è il coraggio di una ragazza madre, la sua solitudine assistita. “Iosef sta sulla porta. Ieshu, bambino mio, ti presento il mondo. Entra, Iosef, questo adesso è tuo figlio.” Un libro consigliato a credenti e non, perché “In nome della madre s’inaugura la vita”.