Il rito delle patate fritte e perché a casa di nonna Graziella non facevano ingrassare
“Vulam fa’ li patate fritt?” è il racconto di Antonella D’Innocenzo tratto dal libro "Mi racconto per te" con prefazione di Serena Grandi
Quando arrivavo a casa sua da Roma, la prima cosa che faceva in assoluto era tagliare il pane fresco, appena comprato, per fare delle distese di pane e pomodoro: “Io senza olio e senza sale...”
“Metticelo un po’ d’olio. È quello buono...”
“No, no nonna, così mi fa impazzire!”
Poi mi cambiavo, anzi indossavo una delle sue vestagliette anni ’50 e mi mettevo in cucina con lei, mentre gli altri chiacchieravano in attesa del pranzo. Apparecchiavamo scegliendo la tovaglia a quadretti verde e bianca, perché, pur avendo un corredo intero, “quella l’aveva fatta fare su misura per quando eravamo tutti”, poi prendeva i piatti buoni del servizio e finivamo di preparare quello che lei da giorni aveva iniziato. Questo da sempre e per tanti, tanti anni.
Le vacanze dai nonni
Appena finiva la scuola, intorno al mio compleanno, io tenevo le dita incrociate affinché i miei genitori non cambiassero i piani e mi lasciassero andare da lei per tutte le vacanze. Non so cosa ci fosse nelle mie valigie, tanto io indossavo le sue vestagliette, i suoi golfini e le sue ciabatte e stavo sempre a casa sua, con lei e con mio nonno e con molti ragazzi della mia età. Potevo uscire e rientrare a qualsiasi ora, tanto al massimo stavo nella piazzetta davanti casa con gli altri.
Fritte e mangiate
Andavamo in campagna, raccoglievamo l’insalata, i pomodori, i cetrioli, le zucchine che mio nonno aveva piantato in modo scientifico e cavavamo le patate, che dovevo stare attenta a non rompere, in una terra un po’ arsa e assetata d’acqua del fiume. E mentre risalivamo sulla ruva, un terreno impervio e scosceso, dove le ciabatte di spugna andavano per conto loro, lei diceva una frase magica: “Antone’ vulam fa’ li patate fritt?”. Ancora adesso mi commuovo dalla felicità. Le patate appena raccolte, fritte, sono meravigliose. Lei sapeva cosa mi piaceva. Non diceva mai: “Questo no che ti fa male”.
A casa sua non si parlò mai di dieta. Non esisteva nel nostro vocabolario. Le cose che cucinava non ingrassavano. Non lesinava l’olio nei condimenti, ma neanche abbondava, e tutto si cuoceva con lentezza. Le verdure avevano un sapore inconfondibile, che oggi neanche con mille ingredienti riesco a ripetere. Non ho mai più sentito quei sapori in nessun altro posto al mondo e quando metto i broccoletti nel piatto la penso sempre.
Un giorno ci ha portato al mare, non so come, perché non aveva la macchina: era bianchissima, il viso era abbronzato, ma il corpo bianco che sembrava di una trentenne. Aveva una treccia lunga e una massa fluente di capelli che avvolgeva in una crocchia, e che ha portato fino alla fine. Io la guardavo la mattina presto, in giardino, quando in modo riservato “si rifaceva il capo” con i suoi pettini speciali che poi sparivano.
Non veniva mai a casa nostra. Loro non si muovevano. Solo una volta abbiamo sentito suonare il campanello ed erano loro. Lei portava la valigia in testa e noi facemmo i salti come su un tappeto elastico per la felicità.
Il viaggio
Non ha mai viaggiato perché mio nonno era un po’ all’antica. Poi un giorno, con un coraggio e un desiderio probabilmente taciuti per anni, decise di andare in Venezuela da sua figlia. Con altre signore più giovani, non riuscendo a prendere l’aereo che era in overbooking, dormì per la prima e unica volta in un hotel a 5 stelle e ne parlò per molto tempo come uno dei regali più belli della vita. Lei che, al massimo, sceglieva delle belle cose al mercato o andava a comprare i vestiti nei migliori negozi, perché dovevano durare nel tempo.
Quando penso alla mia vita, ritengo di aver fatto cose interessanti: ho viaggiato molto, ho visto posti incantevoli, sono andata ad abitare in città, ho avuto vestiti, borse e profumi firmati, macchine eleganti, ma quando penso al mio tempo felice mi vengono in mente Nonna Graziella e la sua casa da dove si vede l’infinito!