“Arrivo, ammazzo e me ne vado”. E se poi ti innamori? Il killer sentimentale di Luis Sepùlveda
Lei è una giovanissima brunetta francese, bisognosa di aiuto. Il tipo di donna che piace molto al macho protagonista del romanzo dell'autore cileno da leggere e rileggere. I passi più significativi nella recensione di Gabriella Carmagnola
Innamorarsi può costare la vita, specialmente a un sicario. Lo racconta Luis Sepùlveda, grande scrittore cileno perseguitato dal regime di Pinochet, in “Diario di un killer sentimentale”, (1998, Guanda) romanzo noir, breve, raffinato e scritto con costante ironia.
L'ultimo incarico
“Arrivo, ammazzo e me ne vado. Ecco cosa ho fatto negli ultimi quindici anni, e in questa professione si imparano cose senza nemmeno rendersene conto. Una di queste è fiutare in tempo la lieve puzza di qualcosa che non va.” Deve portare a termine il suo ultimo incarico, prima di andare in pensione, ma gli accade un imprevisto: si innamora.
L'innamoramento e la convivenza
Lei è una giovanissima brunetta francese, inesperta e bisognosa di aiuto. Il tipo di donna che piace molto al macho tutto di un pezzo. “All’improvviso mi interruppe chiedendomi del fuoco. Allungai la mano con l’accendino e lei la imprigionò fra le sue. Voleva battaglia la bambina.” Ma dopo tre anni passati insieme, in una convivenza tranquilla, lei lo lascia di punto in bianco per un altro. Lui inizia così a commettere errori a ripetizione, deve terminare l’ultimo incarico ma continua a pensare a lei. Si sposta da Madrid a Istanbul, da Francoforte a Parigi e Città del Messico, tra aeroporti, hotel anonimi, spie nascoste e tanti taxi, in cui vorrebbe stare in silenzio. “Mi venne voglia di puntargli la canna di una quarantacinque alla nuca per fargli chiudere il becco, ma non avevo attrezzi con me, e poi un professionista non se la prende mai con un cretino, nemmeno se è un tassista.”
La delusione
Ritorna nel loro nido d’amore, in cui parla da solo: “Mi hai deluso, bambina. E io non ammetto questo genere di delusioni”, avevo mormorato chiudendo la porta. La sua voce aveva continuato ad aleggiare nella solitudine di quell’appartamento a cui non avrei più fatto ritorno.” Cerca quell’uomo da uccidere, fino al colpo di scena finale. Dice a se stesso: “Era vero, l’amavo, ma non potevo agire diversamente in quel mio ultimo lavoro. Ero un killer, e i professionisti non mischiano mai il lavoro con i sentimenti.”