Dalla musica analogica a quella digitale. Ecco cosa offrono i servizi di streaming musicale e quali saranno le loro evoluzioni future
Dal fonografo allo smartphone, oggi la musica si ascolta sempre di più senza supporti come CD o LP. Lo straordinario successo delle piattaforme streaming
Ne è passato di tempo da quando fu inventato il fonografo a oggi. L’ascolto della musica, in un secolo e mezzo, ha subito degli straordinari miglioramenti, in termini di qualità e di “portabilità”, ed evoluzioni, per quanto riguarda la sua distribuzione.
Come si è passati dalla musica analogica a quella digitale
In principio fu il fonografo, come dicevamo. Con questo apparecchio, brevettato da Thomas Alva Edison nel 1877, si potevano registrare i suoni tramite l’incisione, e la successiva lettura, di una traccia su un foglio di carta stagnola da parte di una punta metallica.
Dal fonografo, nel 1888 si passò al grammofono. E’ qui che fecero la comparsa i primi dischi, generalmente di vetro, sui quali venivano incise voci e suoni. Dagli anni ’50 in poi i dischi divennero di vinile, un materiale più leggero e resistente, e fu il boom.
I 33 giri prima, e i 45 giri in seguito, contrassegnarono l’epoca dei giradischi. Questi apparecchi domestici trovarono una espressione più “compatta” e portatile nei cosiddetti “mangiadischi”, così chiamati in quanto dotati di una fessura nella quale si infilava il disco che sembrava venisse “fagocitato”.
Enorme diffusione ebbe poi la musica diffusa su nastro. Negli anni ’60 la musica si ascoltava dalle cartucce Stereo8, ideali da portare in automobile. La loro naturale evoluzione furono le musicassette (battezzate nel 1963 dalla Philips come “Compact Cassette”), più piccole e pratiche.
Ed è grazie al mangianastri (l’apparecchio che si usava per ascoltare, ma anche registrare, le musicassette) che si poterono creare le prime compilation musicali.
Un altro passo verso la miniaturizzazione lo fece il celeberrimo walkman lanciato dalla Sony nel 1979, che permetteva di ascoltare musica con un apparecchio poco più grande delle stesse musicassette.
Da qui, un’altra rivoluzione che impiegò qualche anno (dal lancio per utilizzo commerciale, nel 1982, da parte di Philips) per affermarsi: il Compact Disc. Questo dischetto di 12 cm fatto di policarbonato trasparente segnò un vero e proprio spartiacque con i precedenti supporti. Questi ultimi soffrivano di difetti come sfrigolii (per i dischi) e soffi di sottofondo (per le musicassette), mentre i CD offrivano un audio “pulito” e virtualmente perfetto.
Era nata la musica “digitale”, riproducibile non più grazie a una puntina che trasformava in segnali elettrici le scanalature presenti nei solchi dei dischi, ma attraverso un laser che leggeva i dati presenti nelle tracce in formato digitale (ovvero, come una lunghissima sequenza di 0 e 1).
I servizi di streaming musicale, quali sono e cosa offrono
Il panorama odierno è notevolmente cambiato. Da tempo si assiste alla “smaterializzazione” della musica, ovvero all’ascolto sempre più slegato dalla presenza di un supporto fisico.
Dai primi anni del 2000, il successo di questa modalità di fruizione è stato veicolato dall’avvento degli mp3, file digitali tramite i quali si può trasportare la musica scaricandola su qualsiasi dispositivo tecnologico (lettori mp3, iPod, smartphone, pc, smart speaker).
Col passare del tempo i gusti sono cambiati, e dall’mp3 (ancora diffusissimo, anche se in tono minore) si è passati a una forma di fruizione del brano musicale che non richiede più il download del file sul dispositivo. Secondo i dati del 2023, le vendite dei CD e del vinile rappresentano ormai una quota di minoranza (il 16%) rispetto a quello che è il fenomeno degli ultimi anni: lo streaming.
Questa modalità di ascolto costituisce l’84% del fatturato del mercato musicale italiano (dati FIMI, Federazione Industria Musicale Italiana). Ma in cosa consiste lo streaming? Semplicemente, nell’ascolto di brani musicali (anche sotto forma di video) da fonti che sfruttano internet per veicolare i loro contenuti.
La fonte probabilmente più nota e più utilizzata per l’ascolto di musica è YouTube, per due motivi: perché è gratuito, e perché il catalogo è immenso. La gratuità ha però un “costo”, che è quello di dover sopportare gli annunci pubblicitari, e il non poter scaricare la musica per ascoltarla offline. Queste limitazioni sono rimovibili sottoscrivendo un abbonamento premium per pochi euro.
Anche Spotify, un servizio nato nel 2008 in Svezia, è popolare quanto YouTube, vantando ben 515 milioni di utenti attivi mensili a inizio 2023. Esistono poi altre piattaforme, tra le quali Apple Music e Deezer. I loro cataloghi sono simili, si differenziano soprattutto per quanto riguarda le esclusive che Apple ha con alcuni artisti (Taylor Swift, Britney Spears ed altri).
A proposito di artisti, un interessante articolo di ExpressVPN ha fatto il punto su quanto pagano le piattaforme streaming per ogni brano ascoltato. La più generosa è Apple Music, che elargisce 0,009 € per streaming di almeno 30 secondi. L’articolo riporta anche quanto hanno incassato nel 2023 su Spotify i migliori singoli italiani, ed esplora le attività imprenditoriali intraprese da alcuni famosi cantanti italiani (da Fedez a Mengoni).
Quali sono le fonti di remunerazione delle piattaforme streaming?
Le piattaforme streaming (più di una trentina, anche se le quote di mercato più consistenti sono suddivise tra quelle citate in precedenza) si caratterizzano per avere sempre gli stessi tre modelli di revenue (entrate), ovvero:
- Advertising: la piattaforma guadagna dalla presenza di pubblicità erogata, ad esempio, con annunci che passano per 30 secondi ogni 15 minuti, e l’utente usufruisce gratuitamente dei contenuti
- Freemium: ovvero, un mix di free e premium. Il “free” consiste nella possibilità di ascoltare liberamente i brani musicali, il “premium” invece prevede la possibilità (come fa Spotify, ad esempio) di eliminare la pubblicità, scaricare i brani o riprodurli on-demand, e sottoscrivere due o più account a prezzo scontato
- Pay: è un modello che si concretizza nell’acquisto di un singolo brano o album (in questo caso si parla di pay per use) oppure nella sottoscrizione di un vero e proprio abbonamento per usufruire dei contenuti della piattaforma.
Il futuro e l’evoluzione delle piattaforme di streaming musicale
Nei prossimi anni l’industria dello streaming musicale continuerà a trasformarsi. In che direzione si muoveranno le piattaforme?
Innanzitutto, è chiaro che verranno impiegate sempre di più delle tecnologie che possano interpretare le abitudini di ascolto degli utenti, in modo tale da fornire una esperienza sempre più personalizzata.
Con buona probabilità, le piattaforme si muoveranno verso la produzione di contenuti originali, proprio come si è già verificato con le piattaforme video (Amazon Prime, Netflix, Paramount…).
Sia gli artisti che le case discografiche spingeranno sulle piattaforme affinché si muovano maggiormente sui contenuti premium. Uno di questi potrebbe essere lo streaming live di concerti o performance offerte in esclusiva a una piattaforma. Fruibili anche, in prospettiva, mediante dispositivi per la realtà virtuale.
Infine, è d’obbligo citare l’impatto che l’intelligenza artificiale avrà nel mondo della musica e, in cascata, sullo streaming. Innanzitutto, la IA potrà indagare in modo più puntuale le preferenze degli utenti e individuare i brani che possono avere più successo.
Oppure, come nel caso di Musixy.ai, proporre un servizio in cui gli autori possono fare l’upload delle proprie tracce create usando l’intelligenza artificiale.
Una cosa è certa: queste innovazioni verranno finanziate da investimenti derivanti dalla impetuosa crescita dell’industria musicale. Basti pensare a un dato della banca d’investimenti Goldman Sachs, che prevede un fatturato globale di oltre 50 miliardi di $ entro il 2030, e ben 1,2 miliardi di abbonati ai servizi di streaming musicale in tutto il mondo.