La provocazione per l'8 marzo: basta mimose. Donne, entrate in banca e aprite un conto corrente
Le signore non parlano di soldi è un saggio dell’economista Azzurra Rinaldi in cui spiega come l’analfabetismo finanziario renda le donne succubi. Siamo noi quelle che lavorano senza retribuzione, le laureate che non raggiungono mai i vertici di comando, le prime a perdere il posto se ci nasce un figlio. E’ ora di cambiare.
Per questo 8 marzo lasciate il rametto di mimosa sull'albero. Ma se proprio volete farvi un regalo, comprate questo libro. Si intitola "Le signore non parlano di soldi - Quanto ci costa la disparità di genere?” (Fabbri, pagg. 24, euro 16), lo firma l'economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of Gender Economics all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza. E' un saggio in cui si analizza la disparità di genere senza sconti, senza vittimismi, soprattutto i dati vengono spiegati con chiarezza e come conseguenza di millenni di solidissimo, inattaccabile patriarcato. Rinaldi si concentra su alcuni temi: cura, rappresentanza, sorellanza, diseguaglianza e violenza economica, approfondisce le radici del capitalismo cavalcate dall' Homo oeconomicus che è storicamente: maschio, egoista, massimizzatore del profitto, è colui che impone modelli di leadership e di guadagno in cui soccombono sempre i fragili, anche gli uomini più fragili, figuriamoci le donne.
Partiamo dalla cura, ad esempio
Il 75% di impegno non retribuito è affidato alle donne, è il cosiddetto "welfare mediterraneo" che vale, pensate un po', 11.000 miliardi di dollari. Undici miliardi che ci spetterebbero mentre con forsennato sacrificio gestiamo case, figli, malati, anziani. Equilibriste nate a fare le piroette su una corda sottile, e sotto neppure una rete di protezione a salvarci in caso di cadute.
Non c'è Paese nel pianeta in cui questi compiti siano affrontati dai maschi, e a dirlo è l'Organizzazione Mondiale del lavoro. Le donne di Capo Verde sono quelle maggiormente sfruttate (34% della giornata), quelle Tailandesi le meno coinvolte (12%). Il Covid ha peggiorato per tutte la situazione: siamo l'anello della catena che ha pagato di più la pandemia in termini di soldi, fatica e tempo. Dei 101.000 posti di lavoro persi nel 2020, 99.000 erano occupati da lavoratrici. Le donne che lavorano nel mondo sono il 47,6%. Nel 1990, erano il 51,2%. Capite cosa sta accadendo? Invece di emanciparci, crescere, renderci autonome stiamo retrocedendo sempre più. Se poi scegliamo di diventare madri siamo le uniche a pagare la childhood penalty con tonfi rispetto ai livelli di occupazione fino al 5%.
Eppure le donne sono la maggioranza dei laureati e dei dottorandi, ma appena il 25% arriva alla cattedra ordinaria in Università, e solo il 5% è Ceo. Ma anche quelle che con fatica ce la fanno vengono pagate molto meno dei colleghi maschi. Nello specifico: la disparità salariale tra uomini e donne è di circa 172,300 miliardi di dollari. Due volte il Pil mondiale.
Ma di soldi non parliamo mai, anzi proprio non ce ne occupiamo, fa poco fine. Tanto che di “educazione finanziaria” sappiamo poco o nulla: oltre un terzo delle donne non è titolare di un conto corrente personale, non è in grado di calcolare il tasso di interesse di un prestito a capire un investimento finanziario. I più recenti test Pisa-Ocse evidenziano come, in media, i livelli di alfabetizzazione economica dei maschi 15enni siano superiori di due punti percentuali rispetto a quelli delle coetanee. Il gap in Italia è addirittura di 15 punti.
E quindi che fare? Rinaldi ci indica una possibile strada: la solidarietà tra noiScrive: «Il patriarcato ha bisogno di tenerci divise e quindi la società non ci insegna la sorellanza. Anzi, sin dall’infanzia ci inducono a esercitare uno sguardo spietatamente critico nei confronti delle altre donne, che sono sempre troppo qualcosa (alte, basse, grasse, magre, coperte o scoperte).[…] Perché è così importante entrare nelle grazie degli uomini? Perché veniamo educate a farci la guerra e non ad allearci? Perché ci insegnano a lottare per essere la prescelta?».
Ripartire da noi, allora. Riprenderci la consapevolezza, entrare in una banca, contare i soldi, parlarne. Fare rete. Quella rete che ci manca mentre volteggiamo troppo spesso nel vuoto. In solitudine.