Costumi da bagno: la bellezza di quelli nati dalla plastica riciclata
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C’è una novità dal fronte della plastica riciclata: utilizzare una parte di quella dispersa nell’ambiente per realizzare costumi da bagno. A livello internazionale sono varie le aziende che stanno sperimentando questi nuovi tessuti, che oltre a essere belli e funzionali danno una mano all’ambiente.
Best practice
“In ciò che attualmente è considerato un rifiuto può esserci valore e i nostri capi ne sono una prova”, si legge sul sito web di Batoko, azienda britannica che vende solo online e vanta collezioni di costumi sostenibili. I tessuti utilizzati derivano da rifiuti di plastica in polietilene tereftalato (PET), destinati alla discarica, che vengono raccolti, smistati, triturati in scaglie pulite, fusi, estrusi e poi filati in poliestere. Per ogni capo si utilizzano circa 11 bottiglie di plastica, il che contribuisce a ridurre il quantitativo di rifiuti plastici.
Oltre all'utilizzo di materiali riciclati, l’azienda produce i costumi in versione digitale, senza stampa su carta, risparmiando anche acqua ed energia, mentre per il confezionamento fa ricorso a materiali compostabili o derivanti da riciclo, ma comunque impiegando una quantità minima di imballaggio.
L’azienda, inoltre, ogni anno dona una parte di propri profitti alla Marine Conservation Society, la principale charity britannica impegnata a sensibilizzare i cittadini sulla crescente necessità di proteggere i mari, le coste e la fauna selvatica dall’inquinamento, dalla pesca eccessiva e dai cambiamenti climatici. L’attività imprenditoriale di Batoko è collegata al mare fin dalla nascita, l’idea è nata durante un’attività di volontariato su una spiaggia del Paese, di fronte ai sacchi di spazzatura raccolta.
In Spagna il brand Cocoi propone costumi da bagno realizzati con nylon rigenerato Econyl, creato recuperando i rifiuti delle discariche e quelli abbandonati in mare, come le reti da pesca. Ha il vantaggio di avere le stesse caratteristiche di quello da fonte vergine, ma può essere rigenerato, ricreato e rimodellato all’infinito. Lo produce Aquafil, azienda italiana dagli spiccati investimenti in innovazione e sostenibilità dei prodotti. I capi Cocoi proteggono anche dai raggi solari: sono Upf 50+, l’Upf è la capacità del tessuto di bloccare i raggi Uv, nel caso specifico il fattore di protezione è 50, quindi il tessuto blocca circa il 98% dei raggi ultravioletti. Di conseguenza indossando questi costumi si argina il problema dell’inquinamento prodotto dalle creme solari, considerando che se tra gli ingredienti hanno ossibenzone (benzofenone-3), octinoxate (ottil metossicinnamato) octocrylene, sono nocive per l’ecosistema marino, tanto che a Palau, nell'Oceano Pacifico, sono state messe al bando per salvaguardare i coralli, dopo che alcuni studi scientifici hanno messo in evidenza le criticità collegate ad alcuni prodotti solari.
In Italia Emersum ha preso la problematica dell’inquinamento dalla plastica molto seriamente e produce capi che contribuiscono a ridurlo. La collezione di quest’anno è in micro-fibra high-tech fatta interamente da plastica recuperata, togliendola dagli ecosistemi marini e terrestri (flaconi e bottiglie), riduce del 60% la quantità di energia necessaria per produrlo (pari a 143 ricariche di cellulare) e consuma meno del 10% di acqua, rispetto a un tradizionale processo di produzione di un costume.
Raccolta, riciclo, filatura, tessitura, stampa e confezionamento sono tutti processi realizzati in Italia e l’intera filiera Emersum è certificata Oeko-Tex, che verifica la presenza di sostanze nocive sulla base di standard internazionali. Sul sito aziendale sono presenti anche mappe geografiche sulla provenienza della plastica dispersa in mare dai vari Paesi e sul valore della raccolta differenziata per singolo comune italiano.
Riciclo di costumi
Che si fa con i vecchi costumi? Portatelovunque li ricicla trasformandoli in altro. L’idea è della romana Chiara Di Cillo, viaggiatrice e designer, che ha lanciato sulla piattaforma di crowdfunding Ulule una campagna per sostenere il progetto di inclusione sociale sviluppato con la sartoria romana 'Lakruna', una cooperativa che lavora per l’inserimento lavorativo di donne con disagio.
Si tratta di pochette, borse e altri accessori fatti a mano a partire da una muta da sub ormai da cambiare, dalla tappezzeria di una vecchia auto, un costume da bagno rotto o passato di moda e così via: ogni tessuto dismesso o mandato in pensione troppo presto può trovare una nuova vita trasformando il rifiuto in risorsa.
Il triste scenario plastico
Negli oceani del Pianeta - stando ai dati del Wwf - finiscono circa 20 milioni di tonnellate di plastica all’anno, rifiuti che vanno a formare “isole di plastica” oceaniche (due nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’oceano Indiano), anche nel Mar Mediterraneo, classificato come la sesta grande zona di accumulo di spazzatura plastica al mondo, con tutti i danni economici e ambientali che ne derivano.
Ogni anno gli italiani utilizzano solo di imballaggi circa 2,1 milioni di tonnellate fatti di questo materiale, di cui il 22% viene riciclato, considerando che riciclo della plastica nel Belpaese è limitato esclusivamente agli imballaggi.
Abbiamo parlato di:
Batoko: website facebook
Cocoi: website
Emersum: website facebook
Wwf: website facebook twitter