Yvonne Sciò si rivela: dal due di picche a Brad Pitt alle botte di Naomi Campbell: “C’era sangue dappertutto”

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di Redazione

Yvonne Sciò è sempre stata di una bellezza assoluta, da quando era bambina e già posava per Vogue, fino a oggi che ha 55 e nessun bisogno di puntare su quegli occhioni azzurri circondati da una chioma di riccioli biondi. “Troppe volte mi è stato detto che, se ero bella, non potevo essere brava”. E troppe volte le è toccato dimostrare che non era vero. Nell’intervista concessa al Corriere della Sera, Yvonne Sciò racconta dei suoi esordi per arrivare a raccontare ciò che più le preme: Womeness, il documentario sul femminismo che ha appena diretto e prodotto e che è in onda su SkyArte.

Modella bambina

«A cinque anni, posavo per Vogue Bambino, facevo campagne, sfilate. Sono cresciuta così: mamma americana giornalista di moda, io in collegio dalle suore a Roma, che entravo e uscivo per lavorare. Poi, è arrivato lo spot Sip e le suore hanno detto a mamma che mi avrebbero bocciata perché non potevo andare avanti in quel modo. E mia madre: ma è una donna, dev’essere indipendente». Aveva 15 anni quando la vedemmo attaccata alla cornetta del telefono mentre ripeteva, con aria trasognata: “Mi ami, ma quanto mi ami?”. Erano gli anni a cavallo fra gli 80 e i 90 e con quello spot della Sip Yvonne Sciò diventò famosissima.

Gli anni di Non è la Rai”

Poi arrivò “Non è la Rai” ma, anche se in tanti la identificano con quel gruppetto di ragazzine sorridenti, lei ci rimase per soli tre mesi. «In realtà, mi sono pentita di aver rifiutato un contratto lungo: avrei guadagnato tanto, ma a quell’età credi negli ideali, i soldi non ti interessano e io avevo paura di chiudermi in una gabbia. Forse è per questo bisogno di libertà che non ho avuto una carriera lineare, ma nella vita non puoi far finta di essere qualcun altro. Dopo, ho fatto una tournée con Mario Monicelli, un film di Nanni Loy con Marcello Mastroianni, ma decisi di trasferirmi a Los Angeles. L’idea che lì nessuno mi conoscesse mi spronava ancora di più ad arrivare. Non mi importava essere popolare, volevo essere brava». E se dopo la sua partenza, sembrava sparita dai nostri radar, l’artista ricorda che «ho fatto 57 film, tre documentari diretti e prodotti da me e venduti in 94 Paesi».

Gli anni di Los Angeles

Gli anni americani sono stati intensi «Facevo provini nei quali partivamo in 400 e poi diventavamo 50. Ho fatto teatro a New York con John Buffalo, il figlio di Norman Mailer, e il video di She’s So High di Tal Bachman, un successo enorme, anche se mi hanno dato due spicci. Ho fatto film e serie che qui non ha visto nessuno, magari piccoli ruoli, ma ne vado fiera».

Quel “no” detto a Brad Pitt

Sono gli anni in cui frequentò le star hollywoodiane, compreso Brad Pitt al quale disse no. «Perché era Brad Pitt: troppo bello, mi metteva soggezione. La prima volta, a una festa a Los Angeles, lui, dall’altro lato della sala, viene diritto verso di me. Mi guarda e dice: “You look so beautiful”. Io muta, con la mascella aperta. Ogni volta che l’ho visto, mi ha chiesto il numero. Voleva prendere lezioni di italiano e gli consigliai di chiedere al nostro Istituto di Cultura. Pensi che genio...».

L’amicizia con Naomi Campbell e poi le botte

Molto scalpore fece la vicenda con Naomi Campbell: nel 2005 la denunciò per averla aggredita, ma cos’era successo? «Non l’ho capito. Forse, quella sera era di cattivo umore. È alta due metri, muscolosa, io sono piccolina, me la sono ritrovata addosso, c’era sangue dappertutto. Eravamo amiche da anni, l’avevo raggiunta a Roma dove stava girando uno spot, ma lì disse che volevo rubarglielo: una follia. Le ho fatto causa soltanto perché volevo che si scusasse, ma non si è scusata».

Il documentario sul femminismo

Oggi preferisce stare dall’altra parte della telecamera e ha scelto cinque donne per parlare di femminile e femminismo con Womeness. «Ho cercato donne che hanno rotto le catene negli anni 70 in contesti diversi, cercavo contrasti... Emma Bonino che è stata arrestata per le sue battaglie, la poetessa Bianca Menna che si faceva chiamare con un nome maschile per avere più attenzione, la cantante Sussan Deyhim che viveva l’inizio della repressione in Iran, Dacia Maraini che, da ragazzina, ammiravo da lontano e Setsuko, che non era femminista e che conosco da anni, che ha vissuto all’ombra del marito. Quando lui morì andai a trovarla in Svizzera, le chiesi: non ti senti spaesata senza di lui? E lei: no cara, ora, posso vivere la mia vita, uscire, andare a ballare».

“Nessuno può dirci: non sei capace”

Un po’ come lei quando si separò dal produttore Stefano Dammicco dopo un matrimonio lampo. «Il giorno in cui sono salita in auto con mia figlia di quattro mesi è stato durissimo. Tutti mi dicevano: dove vai da sola? Invece, ho preso un appartamentino, non ho mai avuto un aiuto, ho cresciuto mia figlia da sola e ho sempre lavorato su progetti per cui lei potesse dire: wow che figa che è mamma! Voglio dimostrarle che nessuno può dirci: non sei capace».

Foto Ansa e Instagram