Elisa Fuksas e il film comico sulla fede: "È più scandaloso dire che ti battezzi piuttosto che ti fai di crack, soprattutto per una come me"

di Redazione

"Questi casini che ho dentro mi piacciono, il caos è il mio modo di stare al mondo" Elisa Fuksas è ironica, caotica, arriva oggi alla Festa del Cinema di Roma con Marko Polo, una pellicola che non è né un documentario, né un film, né un docufilm. Arriva dopo 'iSola' e 'Senza fine'. Viene ad chiedersi se farà mai un film normale? "Sono d'accordo, è la domanda che mi pongo io per prima parto sempre con le migliori intenzioni, ma tutti i film potrebbero intitolarsi così". Sul Corriere della Sera viene definito "dramma comico, sperimentale, sgangherato, poetico". Tutto inizia dal libro sul suo battesimo a 37 anni (ora ne ha 43), che doveva diventare un altro film. "È più scandaloso dire che ti battezzi tardi piuttosto che ti fai col crack, soprattutto per una come me, che non te lo aspetti".

Il film

In Marko Polo interpreta se stessa, "Non c’è niente di peggio che interpretare se stessi. Marko Polo si è autocostruito per accumulo, a mia insaputa. Poi ho messo un precedente dialogo avuto con i miei. Mio padre, profondamente ateo, dice, ti sei convertita alla religione che hai sotto casa". Suo padre è l’archistar Massimiliano Fuksas e Doriana, roccia della famiglia, è la madre. Un cognome che pesa "C’è stato il momento che dovevo capire come affrontare la mia esistenza, avevo bisogno di appartenere a un’altra storia". La storia è ambientata in uno di quei traghetti che vanno in Sardegna, solo che questa rotta coi pellegrini è Ancona-Spalato, e poi si prosegue in autobus per Medjugorje. "È una barca con la chiesa a bordo che sembra un privé".

Cosa racconta?

"C’è il fallimento del film che dovevo fare, c’è la Madonna che mi guida che è interpretata da Iaia Forte e che è il mio alter ego ma anche il ronzio dell’acufene con cui convivo, una specie di condizionatore sempre acceso. Su quella nave succede un miracolo: la Madonna appare in mare, è una strana creatura, un po’ sovietica, non giovane, bella, rassicurante, evanescente come siamo abituati a vedere noi. A un certo punto dice: "sei pesante e piena di dubbi è questo il problema. Non puoi combattere per qualcosa in cui non credi più". E poi c’è il funerale dell’altro mio film. Mi sono liberata di qualcosa che non è successo. Forse un film sulla fede non ha funzionato perché non credo abbastanza".

L'interesse per la fede

"La fede che racconta non è quella in Dio, che io immagino giovane e con gli occhi chiari, non l’ho mai visto come un padre; la fede che mi interessa è quella nel mondo e nell’altro. La religione mi è servita per capire l’altro, per vedere quel volto che non sei tu". 

Un film su Dio che è diventato un film sul fallimento?

"In 'Marko Polo' esploro il fallimento. In una società come la nostra siamo costretti ad avere successo e non possiamo oscillare nei nostri risultati. Appena viene meno uno standard veniamo dimenticati. Questo film ti ricorda che c’è un’alternanza tra successo e fallimento", spiega Fuksas. "È un film che si è costruito nel tempo, per accumulo di questioni e vita, che nasce dalla realtà e però se ne libera chiedendo alla sua rappresentazione di dare dignità ed “eternità” a un momento che verrebbe altrimenti dimenticato, anzi rimosso: quello, appunto, del fallimento. Che poi fallire non è il contrario di succedere, mentre fallimento e successo li usiamo sempre come contrari". Ma è anche "un film sulla fede: non solo in Dio ma nel mondo, nell'altro e in quello che possiamo fare in questa piccola parentesi che si chiama vita", conclude.

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