L’uomo delle Stelle: la forza e l’eleganza di Alain Ducasse
SEMBRA
una cupa sera senza storia nell’estate dell’84, col crepuscolo nascosto dalle nubi e le Alpi chiazzate di neve in modo incerto, quando un piccolo aereo da turismo compare nel cielo della Savoia fuori Chambery. Gli strumenti di bordo sono in panne, e il pilota insiste disperato sulla cloche mentre l’altimetro segna quote fantasiose, finché il volo si schianta nel peggiore degli epiloghi contro una montagna resa invisibile dal meteo. Dei cinque passeggeri se ne salva soltanto uno, un giovane cuoco francese di nome Alain Ducasse. Coincidenza o destino, quell’unico sopravvissuto cambierà come pochi altri la storia della cucina mondiale.
Alain Ducasse a inizio anni '90 - Photo Xavier Lambours
Perde un occhio ed è costretto a restare diciotto mesi fermo in un letto, proprio nell’anno in cui ha ricevuto le sue prime due stelle Michelin al ristorante “La Terrasse” di Juan-Les-Pins. Impara così a delegare e controllare a distanza, doti che gli saranno fondamentali per la gestione dell’impero che verrà. A cucinare ha invece imparato presto, lasciando la Guascogna e la fattoria dei genitori per frequentare l’alberghiero, e lavorando poi con tre icone leggendarie della cucina francese: Michel Guérard, Roger Vergé e Alain Chapel. I primi due lo forgiano, ma è il terzo a trasformarlo nel profondo, iniziandolo al culto della materia prima che sfocia nella selezione esasperata di ogni ingrediente.
Gamberoni di Sanremo, gelatina delicata e caviale – Photo T.Dhellemmes
“A partire da oggi, piccolo, dimentica tutto”, è l’invito di Chapel al ventunenne Ducasse quando varca la soglia del suo ristorante a Mionnay. E subito segue l’enunciato della sua filosofia, che passerà dal vecchio al giovane per arrivare viva fino a oggi. “Il prodotto è la sola verità e il solo divo della cucina. Non il cuoco, il cui unico compito è rispettarlo fino a esaltarne la verità”.
La sala del Louis XV, ristorante di Alain Ducasse all’interno all'Hotel de Paris
Al momento dello schianto aereo sono passati sei anni da quel giorno a Mionnay, e Ducasse a Juan-Les-Pins sta mettendo a punto nel tempo la sua cucina, la “cucina della Riviera”, che traduce in piatti il sole e il mare della Costa Azzurra, e arriverà a compimento nelle fastose sale del Louis XV di Montecarlo, dove il guascone si sposta a partire dall’87. Quando Ranieri di Monaco e la sua Société des Bains de Mer (che controlla per intero locali e alberghi di lusso nel Principato, compreso l’Hotel de Paris dentro cui brilla il Louis XV), bussano alla sua porta per proporgli il ruolo di chef, vedono la propria offerta subire un rilancio clamoroso: Ducasse non è disposto a dire sì a meno d’aver garanzia di libertà assoluta, sia sulla linea di cucina sia sul fronte gestionale.
La sala del Louis XV, ristorante di Alain Ducasse all’interno all'Hotel de Paris
In cambio, è disposto a inserire nel contratto una clausola che prevede le sue dimissioni nel caso in cui non riesca a raggiungere le tre stelle in quattro anni. La Société accetta, e il 16 marzo del 1990, trentatré mesi dopo il lancio della scommessa, l’obiettivo è centrato. Ducasse diventa il più giovane tristellato di sempre (verrà scalzato solo una dozzina d’anni più tardi da Massimiliano Alajmo), e il Louis XV il primo ristorante d’hotel ad aver mai ricevuto il massimo riconoscimento dalla Rossa.
Casseruola di verdure primaverili
Di qui in avanti l’ascesa a mito è rapida e continua, con la sua cucina mediterranea che si contrappone agli istinti francesi ridisegnando i temi classici e sostituendo, dove possibile, burro e fondi con olio, basilico o erbe aromatiche. Tutto è più leggero, vengono abolite le lunghe cotture perché snaturano i prodotti, così come le salse troppo intense per la loro tendenza a rubare la scena. Nascono piatti essenziali, inni ai sapori autentici costruiti sulla sottrazione, e ne nasce uno in particolare cui Ducasse rimarrà sempre affezionato, a metà fra coperta di Linus e cavallo di battaglia. E’ la casseruola di verdure primaverili, semplice e stordente, una delle poche ricette che ancora oggi trova prima o poi posto nel menu di tutti i suoi ristoranti.
Ducasse è attento a ogni dettaglio dei suoi locali, dalle tovaglie alle semplici decorazioni
Nel ’95 raggiunge un altro primato quando il suo maggior rivale per la considerazione di miglior cuoco del mondo, Joël Robuchon, appende (momentaneamente) la toque al chiodo a causa dello stress, e Ducasse compie un altro azzardo in principio criticato dai più. Rileva il locale lasciato da Robuchon in rue Raymond-Poincaré, e sbarca a Parigi col suo ristorante “Alain Ducasse”, deciso a conquistare la capitale. Le prime reazioni sono fredde se non scettiche. Qualcuno parla di “turista mediterraneo a Parigi”, altri si chiedono “chi creda di incantare con due foglie di basilico e qualche goccia d’olio”. Quando a otto mesi dall’apertura arrivano tre stelle dirette, molte bocche smettono di parlare, ma la Michelin adotta una scelta politica contestatissima: il Louis XV perde una stella, perché vi sono dubbi circa la possibilità che un solo uomo possa gestire due grandi ristoranti in contemporanea.
Dentro le cucine del Louis XV
Ducasse prende la puntura come una sfida e l’accetta di buon grado. Macina nuove aperture a ritmo sempre più incalzante, costruisce una fitta rete di hotel e ristoranti in Francia e all’estero, e infine riconquista la terza stella al Louis XV nel ’98. E’ il primo uomo dai tempi di Eugénie Brazier ottant’anni prima ad avere sei stelle in due ristoranti, e si cuce addosso un ruolo innovativo che poi altri replicheranno, quello del cuoco-imprenditore, chef alla testa di varie cucine ma pure fine manager con grandi capacità gestionali. François Simon, autorevole critico de “Le Figaro”, lo prende in giro attribuendogli l’invenzione del “fax-food”, perché sostiene che il posto del cuoco sia la cucina, non uffici e aeroplani. Lui fa spallucce e apre altri sei ristoranti.
Quinoa d'Angiò, radici, funghi e mele cotogne
Continua a viaggiare senza sosta per visionare da vicino i suoi progetti, e a ogni tappa si ferma per scoprire prodotti, tendenze o antiche usanze, che poi rielabora per creare nuovi format ristorativi e fornire freschi slanci alle cucine dei suoi locali. Nel frattempo forma decine di cuochi francesi e stranieri che negli anni diverranno a loro volta fuoriclasse (da Jean-Francois Piège a Elena Arzak, da Franck Cerutti a Massimo Bottura…), dando vita a una vera e propria “génération Ducasse” e sdoganando per la prima volta l’assunto che per uno chef con una forte squadra alle spalle non sia necessario presenziare ogni giorno in cucina.
La sala del Plaza Athénée di Parigi
Nel 2000 trasferisce il proprio ristorante di Parigi nell’hotel dello sfarzo per eccellenza, il Plaza Athénée, e prosegue il decennio moltiplicando fatturati e riconoscimenti con una spinta ancora oggi in ascesa, potendo ormai contare su decine di insegne per un totale di 18 stelle Michelin (tre con il punteggio massimo), una casa editrice e una fabbrica di cioccolato; oltre a una miriade d’altri locali di diversa natura (dal neoclassico ristorante di pesce “Rech”, al bistrot stellato “Benoit”, passando per i vari e visionari “Spoon” sparsi per il mondo).
La facciata del bistrot stellato Benoit
Filetto alla Wellington classico, sovente in carta da Benoit
Ogni suo progetto ha un’identità propria, eppure ognuno parla la lingua di Alain Ducasse, perché lui continua a sentirsi prima di tutto un cuoco e non accetta compromessi benché sia sempre disposto al dialogo con i collaboratori. “Non credo ai geni dei fornelli”, risponde se gli chiedi una fotografia della gastronomia contemporanea, “perché di geni ne nascono al massimo due per secolo, e non mi risulta vi sia mai stato un cuoco-genio. Se io prometto del vitello, il cliente deve ritrovarsi nel piatto il 95% di vitello e, al massimo, il 5% di genio (o meglio creatività); alcuni preferiscono invece dare il 50% di vitello e il 50% di genio, ma non c’è poi da stupirsi se il grande pubblico si sente respinto da qualcosa che non riconosce”.
Lenticchie verdi di Puy, caviale dorato e gelatina di pesce affumicata
Le ultime novità sono la prossima apertura di un cafè contemporaneo nella Reggia di Versailles, e l’abolizione della carne dalla cucina del Plaza Athénée, in favore di maggiore spazio da concedere a pesce e verdure, per piatti ancora più leggeri seppur non meno ricchi nel sapore, come nel caso del magistrale lenticchie, caviale e gelatina di pesce affumicata, da spalmare su morbide galette di grano saraceno e rifinire con crema acidula di Borniambuc.
Astice blu, mirto e zenzero
Christophe Saintagne, ex chef del Plaza oggi alla guida del tristellato Dalì all’interno dell’Hotel Meurice (ovviamente sempre sotto il controllo di Alain Ducasse), dice che “in molti criticano questa sua scelta estrema, perché preferivano la cucina più godereccia a cui li aveva abituati. Forse anch’io mi trovo d’accordo con loro, ma tanto fra vent’anni ci renderemo conto che ha ragione lui anche stavolta”.
Franck Cerutti dice di lui: 'Più lo conosco e meno lo conosco...'
Ducasse non commenta, come suo solito fa spallucce e apre nuovi ristoranti. Forse perché quando hai vinto ogni battaglia, compresa quella con la morte, non esiste più nulla che ti possa far tremare.
Autore: Paolo Vizzari
La fotografia di copertina e le fotografie dalla n. 3 a seguire sono di Pierre Monetta