Peca profonda: ricerca e solidità di una grande maison del nord est
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PECA,
cioè impronta. Sono quasi trent’anni che lo stile dei fratelli Portinari e della bella Cinzia Boggian, moglie di Pierluigi, si imprime sulla tavoletta della cucina italiana. Sempre più a fondo in una cera liquefatta dalla passione e dalla curiosità. Un piccolo miracolo nel cuore del nord est, appena passato il nugolo zirlante di capannoni e fabbrichette, nel concavo verde dei colli Berici. Natura e silenzio attorno alla sede di una vecchia locanda, della quale solo un muro è sopravvissuto fino a oggi, con la costruzione della nuova ala e la metempsicosi in grande maison.
Tutto è cominciato nel 1987 da una costola della macelleria con gastronomia di famiglia: Pierluigi, pasticciere e sommelier, aveva appena 26 anni; Nicola, oggi chef, 23. “Io però sono partito in sala con un altro cuoco. Abitavamo proprio qui a fianco e ci eravamo appassionati a questo mondo da clienti, frequentando ristoranti come il Pescatore”. Sul suo curriculum solo un paio di passaggi, alla Pinède di Saint-Tropez con Alain Ducasse, maestro di Mediterraneo, e da Arzak; l’apprendistato con il cugino Andrea Sarni del Principe di Arzignano, coautore dei primi menu; soprattutto libri e congressi. “Come tutti, sono stato folgorato da Adrià per il lavoro sulle consistenze. Ma la mia è una cucina istintiva, messa a fuoco attraverso la riflessività”.
Un giorno a sedersi a tavola è la giovanissima Cinzia, arredatrice per tradizione di famiglia, ed è subito coup de foudre. Corre l’anno 1990 e la sera, dopo avere staccato dal negozio di mobili, comincia a dare una mano in sala, oltre a buttare l’occhio al momento di scegliere tovaglie e arredi. Frequenta i corsi AIS e affianca Pierluigi nell’amministrare la carta dei vini, finché non le subentra il sommelier Matteo Bressan. Soprattutto, a partire dal 2000, esprime la sua vena artistica nei centrotavola che rimpiazzano le composizioni floreali, già oggetto di due libri: bricolage di resti di cibo e di vino, utili anche per riciclare stoviglie rotte, che vengono resuscitate da un’irresistibile ironia.
Quelle degli autodidatti sono perle senza filo: ed è una luccicanza sparsa a impreziosire la cucina, dove trovano posto suggestioni e motivi disparati. In assenza di gravità, per così dire, grazie a una libertà lunare, nella leggerezza di fondi eterei e grassi quasi assenti. Il vegetale è protagonista, in omaggio a un territorio pararurale, dove è possibile raccogliere ingredienti spontanei (incarnierati per il ristorante da due signore sessantenni) o ruspanti. Come nei centrotavola di Cinzia, il bricolage di elementi contemporanei e di ricerca, si tratti di tecniche, gusti o associazioni, compone elaborati originali, dove non mancano mai la sostanza, cioè la materia nella sua riconoscibilità, e perfino il comfort, che significa piacevolezza e richiami alla memoria. Fra Nicola e Pierluigi la maieutica, come l’ha definita Grignaffini, è reciproca e continua: “Ci piace sederci insieme a tavola, confrontarci e nel caso litigare; io forse ho una sensibilità più classica”, dice lo chef.
Pescatrice e finferli con infuso di pomodoro affumicato e tartufo nero dei Berici
Bigoli integrali con acciughe, alici marinate e gelato di cipolle agre
Nell’arco di quasi 30 anni, passando per le due stelle datate 2008, la cucina si è evoluta pian piano, fino ad abbracciare anche il pesce, oggi al centro delle prove più convincenti; vi collaborano da oltre due lustri il sous-chef Fabio Chilese e Marco Faedo. Fra i piatti che hanno segnato una tappa lo storico tortino di baccalà, nato per alleggerire il classico mantecato, e soprattutto i bigoli con le acciughe, preparati con la crusca, come si faceva una volta. “Ci ho lavorato tantissimo. All’inizio era una comune pasta all’uovo, ma la ruvidità aiuta a ripulire meccanicamente dalla sapidità delle acciughe, dando loro respiro”. Sono cantabriche, per la nota dolce; più il gelato di cipolla al posto del soffritto, per il contrasto termico e l’acidità dell’aceto di mele, che ravviva il colore e deterge il palato. Cosicché la temperatura tiepida, funzionale a evitare lo scioglimento, e le consistenze risultano del tutto originali.
Una partenza territoriale, deviata dal Gelo di acqua tonica, lime e profumo di gin con tartare di scampi, gamberi rossi e canoce, variazione del cocktail commestibile datata 2002, ispirata al Dickens di San Sebastian. Quindi uno zoccolo di acqua tonica al bergamotto e lime, sifonata e abbattuta, per un esito di ghiaccio evanescente e friabile; con le tre tartare e la salsa di alghe a esaltare l’ittico. Freddo e pesce crudo, acidità + alcol sul grasso.
La terra e i suoi frutti
Il menu della primavera (forse la stagione migliore per mangiare alla Peca) esordisce con appetizer superbi, come la crema di asparagi sbollentati, ancora carichi di clorofilla, con asparagi al Green egg, essiccati e tostati per il croccante, ceci germinati e pomodoro essiccato. Poi i finti piselli nel vero baccello non edibile, per sorridere sulla De.C.O. di Lonigo: tre sfere di centrifugato gelificato alla Kappa con ripieno liquido di acqua di tre tipi di pomodoro, brodo di ritagli affumicati di rana pescatrice, ceviche al lime. Dopo la granella di Grana Padano con germogli vari (asparagina, bruscandoli, tanoni, ortica), arriva il delizioso taco di baccalà mantecato con polvere di cappero; viene ottenuto da merluzzo fresco arrostito e stoccafisso, per la cremosità e il gusto, senza latte ma con il pesce frullato insieme al liquido e poco olio delicato, per l’effetto emulsione: una nuvola soffice e soave.
Fra gli antipasti la Tartara di astice con infuso di salame fresco e lasagna di rapa navone, dove l’insaccato rappresenta il territorio e omaggia papà Serafino, che ancora oggi esercita l’arte della norcineria. “Mi è sempre piaciuta l’idea di abbinarlo al crostaceo, tenendo entrambi crudi in modo che si valorizzino vicendevolmente, con il salame in veste di esaltatore, la lasagna di lamelle di rapa al vapore e i frutti rossi per l’acidità sul grasso”.
O gli squisiti Soffici di zucca farciti di tannino con topinambur e consommé di terra, piatto dall’ispirazione avanguardista che bilancia gusti e provocazioni. Una specie di tortello rovesciato, con la purea di zucca cotta al forno, insaporita con le spezie e la mostarda e modellata negli stampini 3D; all’interno una riduzione di Merlot, fino a consistenza di melassa; in finitura un brodo amaro di tarassaco, radicchio di campo, tanone e bucce di barbabietola, presenti anche in forma croccante.
Laguna Veneta è ormai un piccolo classico, nato per valorizzare i molluschi della zona fra Venezia e Chioggia, spesso stracotti e violentati dal soffritto. “Io invece volevo esaltarne la dolcezza e l’eleganza. Uso quel che trovo: tartufi, vongole, cannolicchi, canestrelli, cozze, lupini, telline. Vengono estratti a vivo e messi sotto la salamandra, poi serviti con la loro acqua mista a brodo di garusoli e una purea di radice di prezzemolo tuberoso, che cita la spolverata di erba in finitura”. Mare e terra, cioè laguna.
Fra i primi le Ruote Pazze, “uno dei formati che amo di più, per la masticazione”. Vengono farcite con una crema di piselli crudi al Pacojet, capesante anch’esse frullate a crudo, secondo un abbinamento di tradizione, e crema di corallo e yuzu, prima di essere spadellate nell’estratto di baccelli. Oppure il Risotto portato a cottura con siero di Grana Padano e mantecato al Vezzena per l’acidità, più la sgocciolata verde delle salse concentrate, evoluzione della ricetta verticalizzata con la fonduta a freddo e i germogli sopra.
Solido e liquido di vitello, verdure agre, emulsione di cappero
Fra i secondi lo shabu shabu di pesce ai grattini, cortocircuito di esotismo e nostalgie infantili. Dove i dadi di orata sbollentata, i gamberi di Mazara del Vallo, le capesante frullate e ricostruite su scala mignon vengono innaffiati di fumetto di orata e trippe di capasanta, infuso al bergamotto per la freschezza; più la pasta a mo’ di fregola mista ad asparagi sul fondo.
Prima del dessert arriva in tavola il delizioso Irish Coffee al foie gras, nato dal gioco con un barman. Lo compongono il caffè al whisky irlandese, la crema di mandorle al posto della panna con una macinata di pepe e la crema di fegato grasso in terrina, sciolto nel brodo leggero, per bilanciare il grasso con l’amaro e l’alcol. Poi il sorbetto acido e piccante allo zenzero e limone verde, con i cristalli di zucchero di canna per ripulire meccanicamente.
Intensissimo il parfait al pepe verde, preparato secondo la tecnica classica, servito con ravanelli, spinaci per il vegetale, tartufo nero e arance pelate a vivo. Dove la duplice nota piccante stimola la digestione e lascia la bocca “pimpante”. La carta dei vini è imponente: le referenze sono oltre 2000, con una buona profondità in verticale. Privilegia i naturali, partner elettivo di una cucina pulita e leggera, con picchi di eccellenza fra gli chenin blanc e i riesling più affilati.
Autrice: Alessandra Meldolesi
Tutte le fotografie sono di Gabrio Tomelleri
Ristorante La Peca
Via Giovannelli 2 - 36045 Lonigo(VI)
Tel. +39 0444 830214
Mail: info@lapeca.it