Genova città aperta: la sorpresa di Marco Visciola al Marin

di Geporter Gourmet

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ARIA NUOVA

sul porto antico di Genova, di fronte alla biosfera in vetro e acciaio uscita dal tecnigrafo di Renzo Piano e farcita come un raviolo di foresta tropicale. Fuori non urlano i camalli, sudati fra passerelle, magazzini e piroscafi; ma sciamano i turisti ronzanti e le famigliole appena pescate dall'Acquario. A citare le gru ormai dismesse i bracci di metallo centrifughi del Bigo, con le vele mobili che ritmano i tempi dell'ozio al pari di un metronomo. Quasi un origami delle nuvole.


 

Guarda tutto questo la lunga vetrata del Marin: luce e iodio a volontà sui tavolini in marmo, che citano un materiale tradizionale della cucina. Poggiano da 5 anni al secondo piano di Eataly, dapprima rivolti alle imprese dell'ottimo Enrico Panero, ritagliate dal rettangolo della cucina a vista; poi, dopo il passaggio al Da Vinci di Firenze, a quelle del suo secondo Marco Visciola, trentenne ligure fino al midollo, capace di non far rimpiangere colui che l'ha preceduto.


 

Nato a Bogliasco, Visciola ha contratto il morbo del cuoco dal nonno Giovanni, girovago per i fornelli della Liguria. All’Alberghiero però ha preferito la gavetta nei locali del paese, in modo da potersi infilare qualche soldo in tasca. “La spinta nella cucina gourmet me l’ha data Serenella Medone: con lei, al Solito Posto, ho iniziato a imparare e a capire. E con lei ho trascorso una settimana decisiva presso Eataly Torino, dopo la quale sono entrato nel gruppo; ho conosciuto Enrico Panero e ho iniziato subito a lavorare sul progetto Marin”. Un autodidatta, quindi, a parte brevi stage con Enrico Crippa, per studiare le verdure, e Fabrizio Tesse; esperienze al fianco di Ugo Alciati, collaboratori di Uliassi e di Cedroni sempre sotto l’ombrello societario. “A influenzarmi è stata anche l’apertura di Eataly in Corea, dove ho familiarizzato con alcune basi della cucina asiatica, come le fermentazioni. Ma già Enrico, che aveva vissuto per due anni in Giappone, mi aveva trasmesso qualche suggestione”.


 

A Genova, con l’aiuto di una brigata composta di otto giovanissimi, quasi tutti liguri, cura il ristorante gastronomico, ma anche i menu e le basi delle cinque isole monotematiche, ricorrendo in gran parte a prodotti della casa. I menu degustazione sono tre: i Classici (5 portate a 54 euro), le Nuove proposte (lo stesso numero di corse a 62 euro) e gli otto assaggi a mano libera dello chef, intitolati a De André (75 euro); oltre alla formula del pranzo, composta di 2 piatti e un dolce a 34 euro. Ma sul parquet va forte anche il carrello dei pesci, in arrivo tutti i giorni dalla cooperativa di Camogli: sono destinati a chi preferisce un pasto di prodotto, anzi del prodotto scelto con gli occhi negli occhi. Quindi gli ineguagliabili gamberi viola di Santa Margherita, serviti preferibilmente crudi, oppure orate, ombrine, gallinelle e pagelli, secondo il pescato del giorno, preparati al sale, al forno alla ligure o sfilettati alla piastra con contorni a scelta e di stagione. Per accompagnarli la carta del vino pesca nella cantina del gruppo, con una generosa iniezione di Triple A, in ossequio al gusto locale.


Triglia salad, maionese di datterino, alghe e sesamo

I due appetizer, l'acciuga ripiena fritta e i rossetti con bernese e gambo di carciofo, tracciano subito le coordinate di un pasto, che quasi sempre muove dai prodotti del territorio e dalle ricette della tradizione, rivisitate con spunti vincenti e felici ibridazioni giapponiste. Una Liguria da cui Visciola sa estrarre la vocazione all'eleganza un po' francese, tanto cristallina quanto insospettabile, per poi contemporaneizzarla, con le verdure, “il futuro della cucina”, esaltate nell’estetica e nella consistenza, un’acidità sempre vivificante, ma bilanciata all’interno di composizioni sfaccettate, che mai derogano ai valori della freschezza e della pulizia.

Si inizia a fare sul serio con 100% Gambero, a base del celebre crostaceo viola di Santa Margherita: la coda cruda con limone ed estratto di carapaci alla Greenstar; la tartare con le parti cremose delle teste per un effetto nocciolato che ricorda un pralinato, nella consistenza e nel gusto, più una punta di wasabi e mela verde per temperare la dolcezza con il piccante e l’acidità. Dopo di che i piatti si susseguono volubili e capricciosi come gli aquiloni di Renzo Piano là fuori.


 

La ricetta del cappon magro, benchmark di ogni cuoco ligure che si rispetti, è scassinata per il tramite di un orientalismo: le verdure non sono sott'aceto ma fermentate, alla maniera coreana. Conservano così una leggera sapidità che rimpiazza l'acciuga, appena accennata nella salsa, una maionese di albumi e capperi con estratto di prezzemolo. Al posto della galletta c’è una cialda croccante e leggera di patate e olive ben tostata, che introduce un gusto amaro assente nell'originale. Mentre il pesce è crudo, con l'eccezione delle cozze e delle vongole, secondo il modello del reverse crudista. Rifinisce il piatto, in chiave orientale, una foglia di shiso.


 

Risalta per eleganza Castagna e castagna, piatto che sposa il frutto al pesce omonimo, scioccato in stile shabu sbabu nel brodo bollente di bucce di topinambur essiccate, per un leggero gusto amaro e affumicato. Le castagne invece sono condite in aceto di riso; completano il piatto la salsa di topinambur, la barbabietola marinata in salsa di arancia e limone, le rape in aceto bianco, il foie gras marinato nel whisky torbato ed erbe al gusto di liquirizia. Un gioco semantico sul pesce povero tutto in finezza, con il puntinismo dei suoi amari e delle sue tre acidità.


 

Cardo e sgombro ricostruisce una sensazione di bagna cauda, ma applicata a un altro pesce azzurro. Quindi il filetto cotto all’unilaterale, fino a bruciacchiare la pelle, adagiato sulla costa lessata nel latte, con un richiamo al food design. Per l’aglio c’è l’aïoli leggera, per le acciughe una seconda salsa e il crumble, per il lattico anche il latticello, che provvede alla giusta acidità e alla rotondità che smussa. Un primo sguardo sul Piemonte, in omaggio ai natali di Panero.


 

Riuscita anche la Seppia à pois, con il mollusco appena planchato, tenerissimo, accompagnato sul piatto da bolle di cavolo multicolore (verza verde e viola) cotte nel proprio aceto, ottenuto marinando lo stesso ortaggio in aceto di mela, più qualche lamella di ravanello per il piccante e un giro di fondo bruno di seppia, ricavato tostando i tentacoli, bagnando e facendo ridurre a consistenza di caramello, per un profondo umami. Più qualche punta di maionese classica al nero di seppia e un’erba finalmente territoriale, la maggiorana. Tecnica ed estetica delle verdure, vere protagoniste del piatto.


 

Il baccalà è preparato in oliocottura e servito con una crema di mais, polvere di cipolla bruciata, mezza pannocchietta tostata, prescinseua per la leggera acidità e pelle soffiata per il croccante. Sulla falsariga della classica polenta, ma ridotta alla pochade di un contrasto dolce/sapido, appena complessificato da spigolature acide e amare, nella polvere e nella pannocchia. Cartesiano.


 

Alza l'asticella della difficoltà il risotto alla 'maionese' senza uova, a base di collagene di pesce (un ristretto di fondo di pescatrice emulsionato con olio aromatizzato alle verdure grigliate), che viene guarnito con crudo di dentice, caviale e la polvere delle stesse verdure, evidenziate alla vista: melanzana, pomodoro e peperone. Inverte gli schemi precedenti, visto che il modello è schiettamente coreano (il bibimbap) e viene interpolato con elementi nostrani (la maionese, la cottura classica del risotto, con brodo e mantecatura di burro, Parmigiano e aceto di vino bianco). Fra Oriente e Occidente, da perfezionare: la testimonianza di un’inquietudine evolutiva in corso.


 

I plin sono ripieni di zucca e preboggion e guarniti con lo stesso preboggion per l’amaro e calamaretti spadellati nel loro fondo bruno, per un effetto quasi mandorlato, dove manca un po’ la freschezza. Il contrasto vira verso l’amaro nella versione primaverile, interamente a base di erbe.

Ma si riprende a volare nei secondi. Per cominciare l'ottimo polpo con scorzonera alla soia, arancia, insalata di pera grattugiata e scorzonera fritta su fondo di maionese di polpo, preparata con l’acqua rilasciata dal mollusco durante la cottura sottovuoto, emulsionata con olio e limone per un esito delicato e quasi lattico, che smussa. Profondità e freschezza, Oriente e Occidente con un bellissimo gioco di testure, che mette in rilievo la carnosità del cefalopode.


 

Il capolavoro però arriva in tavola con la finanziera di mare: tutto il quinto quarto del pesce utilizzato in cucina con una corposa aggiunta di lumachine per un effetto ragoût, sul fondo di una crema di cozze e ricci di mare che unisce sapidità e dolcezza, più le verdure in giardiniera per l’acidità del modello di terra, qualche goccia di salsa di alghe e di aceto di riso. Le cotture sono tutte separate: le guance e le gole di baccalà e rana pescatrice sottovuoto con olio e alloro, le trippe di baccalà spadellate, il fegato di rana pescatrice e il corallo di capasanta passati in burro e aceto di mele, le lumachine nel loro sughetto in bianco, con il corallo del fasolari aggiunto all’ultimo momento. “Un piatto del 2014, ma ho impiegato 6 mesi per metterlo a punto; la salsa ha rappresentato la svolta, grazie allo slancio che conferisce al piatto”. Sapidità, acidità, iodio, amaro ittico su un caleidoscopio di testure che solleticano il palato, di nuovo sul confine piemontese. Ben oltre quello del bon ton che contraddistingue il resto del pasto. Ci sarà da divertirsi.


 

Guarda nuovamente alla Francia, invece, lo scampo appena scottato all’unilaterale e servito con purè di nocciole, scaloppa di foie gras, crocchetta liquida di foie gras e Porto, cime di rapa per il vegetale e schizzi di Nebbiolo ridotto. Con l’orientalismo schivo di qualche dado di rapa fermentata e piastrata, sul modello del kimchi bianco, il cavolo in conserva coreano.


 


 

Il finale è per il territorio con l’ottimo dessert Liguria, epitome di una patria. È composto di cialda ai pinoli, mousse di olive, granita di basilico, battuta di chinotto candito e gelato di focaccia, con l’accompagnamento liquido di un mojito alla maggiorana. Bel mosaico di leggere sapidità, tasselli acidi e aromatici. Altrettanto leggero Autunno dolce, dessert contro i cliché che monta spaghetti di zucca, mou di funghi, mousse di castagna, funghi inoki, gelato alla barbabietola, crumble di cioccolato su un letto di tè matcha, spolverizzato come un prato.

Autrice: Alessandra Meldolesi

Tutte le fotografie sono di Francesco Zoppi

 

Ristorante Il Marin c/o Eataly Genova

Porto Antico Calata Cattaneo, 15 - Edificio Millo - 16126 Genova

Tel. +39 010 869 8722

E-mail: ilmarin@eataly.it

14/01/2016
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