Davide Cannavino e la Voglia Matta di un’altra Liguria
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SENILE,
non solo all'anagrafe. Dopo la partenza di Massimo Viglietti, stellato al Palma di Alassio, la cucina giovane, ribelle, irriverente ha lasciato a lungo le tavole sparecchiate e i piatti vuoti in Liguria. Almeno finché non è arrivato lui: Davide Cannavino, genovese e trentenne, passato per il battesimo di Emergente con Luigi Cremona, prima di affiancare Luca Collami ai tempi d'oro del Baldin e precisare il proprio stile con Paolo Lopriore alla Certosa di Maggiano.
La sua è una cucina verticale, come il paesaggio che poco più in là, fuori dal rettangolo delle finestre su Voltri, cala senza schizzi nel mare; talvolta altrettanto dura nei passaggi, schietta e laconica come si usa da queste parti, senza infingimenti o tentazioni cosmetiche. Lo stesso locale è straordinariamente dimesso, con i neon sul soffitto e la macchia di qualche quadro contemporaneo alle pareti.
Conformemente agli insegnamenti di Lopriore, la regola di Cannavino è il mercato: il pesce, soprattutto povero, è arraffato la mattina da un paio di barchette di Santa Margherita; viene sottoposto ad abbattimento solo in caso di necessario trattamento per il crudo. Mentre le verdure, sempre di stagione, provengono dai contadini della zona. A riprova del fatto che in tutti i suoi stenti, la ristorazione ligure sa essere rigorosa come raramente accade in Italia. Da Lopriore arrivano inoltre la tendenza alla rivisitazione, che accomuna quasi tutti i piatti in carta, e la brevitas stilistica, che aggiunge la sua povertà a quella presente in dispensa.
I menu sono tre: il Sorpresa (5 portate a 40 euro), il Tradizione regionale a 38 e il Gran Crudo a 55. Iniziano con la coppa di testa, preparata in cassetta con gli scarti dei pesci, frutta secca e ortaggi, servita con qualche goccia di alloro estratto alla Greenstar, tecnologia feticcio del maestro di Como, e la polvere delle bucce per il tostato. Una entrée piacevole per freschezza e funzionale allo scarto zero, che introduce i protagonisti del pasto con un sentimento di casa.
L'acidità prende quindi il sopravvento nell'insalata cosiddetta “di rinforzo” con acqua di zenzero e limone, intermezzo dalla collocazione discutibile, e nel pesce alla giada, in questo caso lama, appena scottato dal liquido di marinatura caldo, accompagnato da verdure croccanti e acidule.
Le lumachine di mare in umido sono un comfort food destinato a riposare il palato. Vengono servite con una panissa liquida, sorta di polentina ma di ceci.
Centrato il polpo, cotto nella sua acqua senza perdere nerbo, servito con purè di patate affumicate, cipolle all'aceto, olive taggiasche e altre gocce di alloro. Il classico polpo e patate della tradizione ligure, ma servito al naturale, con la guarnizione vegetale che si fa carico del sentore tostato cui siamo abituati e del condimento grasso.
Seguono i cetrioli marinati nella Sambuca, sul modello di Gianluca Gorini, che però ricava una maggior lucentezza dal sottovuoto. Lo svolgimento è comunque originale, anzi inedito: sul piatto con ravanelli, gelatina di aceto balsamico al pepe, gocce di Vermut compone una stratificazione di alcolicità differenti mai provata prima, sul modello delle ardite sperimentazioni monogusto. Nelle intenzioni di Cannavino, un sorbetto contemporaneo.
Ma dopo un'interlocutoria tagliatelle al vino bianco con molluschi e cime di rapa, il piatto del giorno è Abbiamo sgozzato il coniglio: il fegatino semicrudo, scottato come se fosse in leggerissima tataki, è servito tiepido in un impiattato pulp con succo di barbabietola, il consueto centrifugato di alloro e spinaci. Dove la temperatura, che non spinge né l'amaro né la dolcezza, ma ne favorisce l'incontro, è la chiave nella gestione del gusto, sorprendentemente piacevole per quanto ferroso. Mentre la testura della frattaglia, di primo acchito respingente, accarezza la bocca con la sua setosità.
Dopo un bel dietrofront si affonda quindi nella tradizione con il piatto di trippa, patate e funghi, proposto come variazione: da una parte l'accomodato, con un quantitativo record di boletus; dall'altra la frittura non troppo croccante, come si usava nelle rimpiante tripperie di Genova, speziata con il curry al posto del pepe. Un amarcord che trova l'incastro fra due preparazioni tradizionali nella complementarietà delle testure.
A seguire, contrariamente alle aspettative, i filetti di pescato del giorno, ombrina o triglia, serviti con carciofi alla liquirizia, amari e balsamici. Un'altra portata di riposo.
Per dessert il gelato di olio con crumble di olive taggiasche e il cremoso di limone e salvia, che riprende piacevolmente gli aromi della cucina.
Nel complesso un pasto in crescendo, da riordinare nella sequenza delle portate, affrettate nelle tonalità acide. Anche l'estetica con qualche accorgimento, che non significa leziosità ma rigore, potrebbe migliorare sensibilmente. Restano le belle intuizioni del cetriolo e soprattutto dei fegatini di coniglio; l'impressione, considerati gli scalini fra un piatto e l'altro, di notevoli margini di miglioramento. Merce rara in Liguria.
Alla socia di Davide, Katia Baglini, sono affidati il servizio e la cantina, incentrata sui vini naturali secondo la scuola di Fabio Luglio, eminenza della ristorazione ligure. Gli unici in grado di coprire le punte acide e gli amari vegetali dei piatti.
Autrice: Alessandra Meldolesi
Tutte le fotografie sono di Francesco Zoppi
Ristorante La Voglia Matta
Via Cerusa - 16158 Genova - Voltri
Tel. +39 010 6370600
Mail: info@lavogliamatta.org