Apparentemente semplice: la cucina di Daniele Usai

di Geporter Gourmet

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AUTODETERMINAZIONE.

Quella di Daniele Usai è una cucina che lui stesso definisce contemporanea e diretta, un contesto in cui poter trasferire la sua personalità ed esperienza. Esperienza che non ha matrice scolastica ma scaturisce da una curiosità che lo porta a lavorare in alcuni locali di Ostia, città dove nasce, vive e lavora, per poi maturare al cospetto di importanti chef stranieri e italiani.


 

Nel 2006 inizia l’avventura al ristorante Il Tino, generato secondo un concept che non è mutato negli anni, nemmeno dopo il riconoscimento della prima stella Michelin, giunto due anni fa. 24 coperti e una piccola scuola di cucina a cui viene riservato un angolo all’entrata, il locale regala una rassicurante atmosfera tipica dei ristoranti di quartiere di qualità e altrettanto lo sono i piatti, in cui trionfano pochi, selezionati ingredienti.


 

Una cucina apparentemente semplice, che attira e non intimorisce, ma che cela una sapiente combinazione di studio, tecnica e carattere. 20 le pietanze che compongono una carta dinamica che si rinnova ogni tre mesi e che quasi mai prevede la replica dei cosiddetti piatti storici e una spesa media di 65 euro, vini esclusi. “La mia consapevolezza in cucina si rinnova con il passare del tempo, per questo non amo celebrare i cavalli di battaglia e preferisco guardare avanti, verso ciò che da un certo punto in poi cattura la mia attenzione e mi fornisce ispirazione”.


 

Tre menu degustazione, rispettivamente a 50, 70 e 90 euro e 200 vini in carta. Anche in questo caso si tratta di una lista che spesso viene aggiornata a vantaggio di piccoli produttori che fanno qualità e che, naturalmente, include anche grandi etichette, nazionali e internazionali. Quattro persone in cucina e tre in sala compongono la brigata che in certi momenti dell’anno si arricchisce con la presenza di stagisti provenienti dalle scuole di formazione professionale. Una cucina che parte dal territorio e fa il giro del mondo, quanto a tecniche e ingredienti. “Non ho preclusioni, ho la fortuna di lavorare dove sono nato e questo mi ha dato la possibilità di stringere tantissimi contatti con produttori e fornitori locali, ma assecondo i miei stimoli, anche quando mi portano a scegliere ingredienti di altri paesi”. 


 

Nei suoi piatti spesso affiora una vera e propria passione per la cucina francese e, in generale, per tutto ciò che ha un passato consistente, come nel caso di quella orientale. Una combinazione di fondi, bisque e fumetti e una predilezione per le cotture brevi, soprattutto nella lavorazione del pesce, in ossequio alle tradizioni asiatiche, fotografano una indipendenza di pensiero che si afferma anche nella scelta di limitare il numero di ingredienti presenti in ogni piatto. Erbe e spezie sono parte integrante di una cucina che ama anche le essenze, estratte a freddo o a vapore e che mai invadono gli elementi protagonisti del piatto, contribuendo però all’architettura finale che rifugge da ogni banalità. 


 

L’aperitivo di benvenuto è di quelli che allertano le papille: gelatina ai crostacei con polvere di zenzero, pane burro e alici, salmone marinato, cialda di riso nero e polvere di rapa rossa, il tutto accompagnato da un leggero gin tonic “sapori volutamente sbilanciati in durezza che aprono lo stomaco preparandolo ad accogliere le portate successive”.  Il pane è a lievitazione naturale – 24 ore per la precisione - con farine integrali e miele di castagna, accompagnati da grissini alla paprika. “Facciamo circa sei tipi di pane anche se non abbiamo un forno per la panificazione e io conservo il mio lievito madre da dieci anni”.


 

La ricciola melograno liquirizia e zenzero, è un piatto che mette d’accordo territorio e stagionalità, con il tocco di acidità e piccantezza dello zenzero che fa da contraltare alla dolcezza del melograno. “La brina è fatta con radice di liquerizia e ha la consistenza di un velo per evitare che diventi preponderante”.


 


 


 

A seguire il polpo croccante, visciole, panna acida e fumo al rosmarino. Quest’ultimo, oltre a rappresentare un effetto scenico crea un’affumicatura intensa ma evanescente, che avvolge il polpo con estrema delicatezza. La materia prima è locale, cotta con varie spezie e aromi insieme al succo di visciola del produttore laziale Fabio Stivali. Le visciole vengono conservate in un brandy invecchiato trent’anni. “Cuocendo il polpo ho fatto in modo che non diventasse troppo morbido, preferisco che resti croccante e preferibilmente con la pelle attaccata perché è lì che si concentra il sapore”. La panna acida crea un buon contrasto con l’alcolicità della visciola, in più essendo grassa ne rafforza la persistenza aromatica. Solo tre gli ingredienti in evidenza, anche se nell’acqua di cottura del polpo gli aromi non si contano ma sono volutamente lasciati sottotraccia per non essere invadenti.


 

“Quando studio un menu, faccio in modo che su cinque piatti almeno due siano estremi perché non amo troppo la rotondità, al contrario mi piace che si senta l’acidità, i cosiddetti angoli seppure bilanciati da un elemento grasso e morbido”. Troviamo conferma nei tagliolini alle nocciole del viterbese, gambero rosso, bacche di goji e dragoncello. I tagliolini sono fatti in casa con un impasto a base di miscela di farine particolari e tuorlo d’uovo, cottura rapida e croccantezza; la polpa dei gamberi rossi è cruda e il carapace è funzionale per una bisque alla francese. “In questo caso i gamberi sono locali ma in realtà l’elemento territoriale è rappresentato dalla nocciola, mentre l’asprigno delle bacche di goji e l’aromaticità del dragoncello bilanciano la dolcezza del gambero”. La nota erbacea del dragoncello è molto rinfrescante e lascia il palato pulito e pronto alla portata successiva.


 

La cifra stilistica dello chef è senz’altro rappresentata dagli gnocchi al mandarino, trippa di baccalà e spinaci. “Il mandarino è racchiuso nell’impasto degli gnocchi, dopo aver ridotto il succo e disidratato le bucce; gli spinaci sono fritti, in polvere e freschi all’interno degli gnocchi. La trippa è presente sia nella versione croccante che in quella più cedevole”. Il boccone è perfettamente sapido, la combinazione di sapori e consistenze rivela ancora una volta uno stile dinamico e una semplicità solo apparente. Il collagene della trippa è persistente, interrotto solo dall’irrompere del mandarino e gli gnocchi, cotti in acqua satura di sale non hanno reso necessario l’utilizzo di troppa farina. Risultato: food experience allo stato puro.


 

In un menu che evidentemente predilige la cucina marinara non mancano piatti di terra, celebrati con poche ma indovinate ricette come confermato dagli agnolotti all’anatra, topinambur, ribes rosso, consommé di anatra e liquirizia. Il consommé è un brodo infuso a bassa temperatura, passato in abbattitore e completamente sgrassato. Quasi una tisana profumata e leggera, da sorseggiare. Sul fondo del piatto è adagiata una crema di topinambur perfettamente in carattere con liquirizia e anatra. “Il ribes ha la funzione di sgrassare ma non invade, è dosato in quantità modesta in modo da non essere presente in ogni boccone. L’anatra è posta cruda all’interno dell’agnolotto e si scalda solo al momento della cottura della pasta. L’impasto, nonostante sia molto sottile, conserva una buona masticabilità e infine anche qui per il brodo ho sposato la tecnica dei cugini francesi”.


 

Leccia, zucca, miso rosso e anacardi è il piatto che inverte la rotta facendo ritorno alla cucina marinara. “La leccia è un pesce stagionale come la ricciola, di passaggio da queste parti nei mesi invernali. La cialda è di zucca, con i suoi semi. Qui l’elemento fondamentale è la polpa del pesce che subisce una cottura breve, prima spadellato, quindi trasferito in forno a temperatura non troppo alta”. Carne compatta ma non asciutta, giusta temperatura in bocca, acidità e sapidità accennate, spigoli ammorbiditi segnalano a questo punto del menu un aumento di dolcezza e rotondità, conferiti dalla zucca e dal miso. Un piatto che funge da apripista per il dolce. 


 

Il pre dessert è una piccola tarte tatin alle mele cotogne con meringa al limone. Di nuovo stagione e territorio. “Questa in realtà è una falsa tarte tatin poiché è presente una base di pasta frolla che la ricetta originale non prevede”.


 

Crème brulée al gorgonzola, fiordilatte al timo, pere sciroppate. Questo dessert è in realtà un formaggio mascherato, la tendenza dolce è ovviamente presente e nel complesso l’accordo è singolare ma armonico. “Sto cercando di introdurre i formaggi a fine pasto, non sempre vengono compresi ma per me è una scommessa”. Un abbinamento classico, pere e gorgonzola, dove la pera regala un elemento di freschezza che stempera la dolcezza complessiva della ricetta regalando un fine pasto appropriato.


 

L’attività dello chef si arricchirà ben presto con una importante novità: “Dal mese di maggio ci saranno tanti cambiamenti che coinvolgeranno anche questo locale. A poca distanza da qui, sul fiume, all’interno dello Yachting Club di un cantiere navale, i miei soci ed io abbiamo acquisito un’ampia struttura nella quale stiamo realizzando un bistrot, uno shop per la vendita di prodotti fatti da noi o da produttori selezionati, una piccola spa per gli ospiti e un bar per colazioni specializzato in dolci nord europei e dolci tipici in disuso come i maritozzi con la panna”. Un solo desiderio, dunque, non ancora realizzato: “Frequentare uno stage in Francia presso un grande chef come Pierre Gagnaire”.

Autrice: Manuela Zennaro

Le fotografie sono di Bettina Turiaco

 

Ristorante Il Tino

Via dei Lucilii 17 -Lido di Ostia (RM)

Tel. +39 06 5622778

Mail: info@ristoranteiltino.com

Il sito web del ristorante Il Tino

27/01/2016
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