Se dopo l'abuso dicono che la colpa è tua: vittimizzazione secondaria, cos'è e come combatterla
Dopo tanti casi di violenze sulla donne e tanti commenti inappropriati, scopriamo cosa è la vittimizzazione secondaria e come evitarla
Gli stupri di Palermo e Caivano hanno destato grande indignazione. A ciò si è aggiunta una scia di considerazioni fatte sia in televisione sia sul web che ha generato nelle vittime quella che viene chiamata vittimizzazione secondaria.
La vittimizzazione secondaria avviene quando una donna che ha subito violenza (definita “primaria”) rivive delle condizioni traumatiche o subisce altra violenza da parte di soggetti che non sono gli autori della violenza primaria. E le rivive proprio nel momento in cui sceglie di parlarne o di cercare aiuto per uscirne (denunciando, ad esempio).
Secondo il Consiglio d'Europa la vittimizzazione secondaria non si verifica come diretta conseguenza dell'abuso subito, ma attraverso la risposta che le istituzioni e altri soggetti danno alla vittima (ad esempio, i familiari, le istituzioni o i giornali). Di fatto la vittimizzazione secondaria sposta l'attenzione o la responsabilità dalla persona che ha commesso la violenza alla persona che l'ha subita.
È successo per esempio con il commento di Andrea Giambruno sullo stupro di Palermo. Durante la puntata del programma che conduce su Rete 4 in cui si stava parlando degli stupri di Palermo e Caivano, il giornalista ha detto: “Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti, non ci deve essere nessun tipo di fraintendimento e nessun tipo di inciampo. Ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi”.
Domenica 27 agosto la ragazza che ha subito lo stupro di gruppo a Palermo, dopo l'ennesimo commento sui social che la accusava di essere stata consenziente durante la violenza o di essersela “andata a cercare”, ha scritto su Instagram: “Sinceramente sono stanca di essere educata quindi ve lo dico in francese, mi avete rotto con cose del tipo: “ah ma fa i video su tik tok con delle canzoni oscene”, “è normale che poi le succede questo”, oppure “ma certo per come si veste”. Martedì 29 agosto, e sempre rispondendo a dei commenti simili, ha scritto: “Sono stanca, mi state portando alla morte”.
La vittimizzazione secondaria ha conseguenze sul benessere, sulla salute e sulla sicurezza delle donne, ma anche sulla loro determinazione a parlare della violenza subita o a cercare aiuto per uscirne. Queste vittime di violenza (anche intrafamiliare) spesso preferiscono non andare da un medico o scelgono di non denunciare. Questo è il motivo per cui ancora oggi la violenza, in particolare quella domestica, rimane in larga parte sommersa e di conseguenza non denunciata e documentata. Ne deriva che si può parlare solo di dati stimati, che rimangono tuttavia al di sotto della reale entità del fenomeno.
Le conseguenze, sul piano psicologico
Le conseguenze, sul piano psicologico, possono essere gravi: timore, senso di impotenza, scarsa autostima, depressione e perdita di fiducia negli altri e nelle istituzioni. In sostanza, alla donna che subisce vittimizzazione secondaria, viene addossata la colpa di ciò che le è capitato.
Di fatto chi ne soffre si colpevolizza fino al punto di assumersi la responsabilità di ciò che è successo, provando anche un senso di vergogna e rinunciando a far valere i propri diritti. Ci sono casi molto gravi, come la violenza o le molestie, ma anche altri lievi come subire ricatti morali dal partner o soffrire le conseguenze di una relazione tossica.
Un esempio di vittimizzazione secondaria riguarda le donne che si rivolgono alla polizia per denunciare episodi di stalking o violenza e vengono colpevolizzate da frasi come “certo, se ti vesti così, ovvio che attiri l'attenzione”, oppure “perché non lo hai denunciato prima, invece di subire fino ad oggi”.
Queste considerazioni possono essere molto dolorose da sopportare e minare in modo molto pesante l'autostima e la sicurezza di una persona.
Sembra incredibile che una vittima possa essere giudicata per quello che le è capitato e ritenuta responsabile di quanto ha subito, eppure questo fenomeno avviene molto frequentemente.
Questo perché la vittimizzazione secondaria va di pari passo con i pregiudizi e gli stereotipi di genere. Ciò può portare, in fase di denuncia, a porre domande scomode, intrusive, che instillano il dubbio che la vittima stia mentento.
Al contrario ciò che è necessario fare è accogliere e ascoltare con attenzione la richiesta di aiuto. Non dimentichiamo che chiedere aiuto è difficile e non si dovrebbe mai vivere tale azione con ansia o timore delle conseguenze.