Tre modi per aiutare un ansioso
L’ansia è uno stato d’animo che si sta diffondendo a macchia d’olio in una società liquida carente di punti di riferimento morali ed etici. Spesso i primi sintomi compaiono quando si è bambini. Eppure molti la sottovalutano.
Persino le mie ansie hanno l’ansia!…dice Charlie Brown. L’ansia è in costante aumento grazie alle incertezze del nostro futuro e, per di più, nell’era della comunicazione, paradossalmente, siamo soli e non comunichiamo, almeno non “face to face”, dove uno sguardo, una pacca sulla spalla ci fanno sentire vivi.
Quante persone ascoltano veramente chi sta raccontando qualcosa di sé? Quante in quel momento pensano ad altre cose o semplicemente alla risposta da dare? Anche molti medici non ascoltano i loro pazienti, non cercano di capire il loro stato d’animo, non accolgono il loro disagio, la loro sofferenza, si limitano ad “afferrare” al volo il sintomo, prescrivono in tutta fretta il rimedio e passano ad un altro caso, come in una catena di montaggio.
Ugualmente molti genitori, insegnanti, professionisti, manager ecc. si comportano in modo sbrigativo, sembra abbiano cose sempre più interessanti da fare!
Va da sé che ciascuno si trova solo di fronte ai suoi timori, l’ansia si sviluppa, si diffonde e cresce. Appare, inoltre, chiaro che, vivendo in un ambiente ansiogeno, anche “le ansie hanno l’ansia!”
Per esempio, quante volte ci è capitato di dire ad un ansioso che, in quel momento, ci sta esprimendo un suo malessere “non ti preoccupare”, “non è niente” o addirittura prendi 10 gocce di questo e di quello? Di certo l’intento è quello di incoraggiarlo, mentre in realtà, l’effetto è esattamente contrario! Infatti, minimizzando, non facciamo altro che disorientarlo, aumentare il suo senso di impotenza, farlo sentire incompreso e probabilmente anche vergognoso per il suo stato.
Cosa fare, dunque? Ecco tre modi per relazionarsi efficacemente con l’altro:
1. Chiedere cos’è che lo sta mettendo in difficoltà.
2. Ascoltare in silenzio ciò che ha da dire evitando di giudicare, dare consigli o peggio svalorizzare il suo stato d’animo.
3. Cercare di comprendere le emozioni che sta provando, aiutandosi magari ripensando a come ci siamo sentiti noi in uno stato simile.
Quando abbiamo compreso cosa effettivamente prova l’altra persona e qual’è il suo stato d’animo, potremmo dirgli, per esempio, “capisco che sei triste, arrabbiato, hai paura…” e poi esprimere il nostro dispiacere e solidarietà per il disagio in cui si trova.
Tutto qui? potrebbe dire qualcuno. Si, tutto qui, perché, in pratica, significa:
A. Trasmettere all’altro che lo stiamo prendendo sul serio e che in quel momento è importante per noi.
B. Riconoscere la sua sofferenza.
C. Permettergli di entrare in rapporto con se stesso e con il suo sentire.
Può sembrare poca cosa, perché vorremmo trovare subito soluzioni, ma, saranno sempre le nostre soluzioni e non quelle della persona, perché questa ha la sua soluzione che, forse in quel momento, neppure conosce e, se non siamo dei professionisti nella relazione di aiuto, è preferibile lasciare fare a costoro.
E’ come quando una persona ci dice che si è fratturata un piede e noi non siamo ortopedici, quindi, possiamo solo accogliere il suo dolore e accompagnarla all’ospedale se…ce lo chiede, naturalmente!
Orietta Matteucci presidente Bambino Oggi...Uomo Domani Onlus