Spreco cibo, la riduzione con imballaggi e doggy bag
Cibo e spreco spesso vanno a braccetto, considerata l’enorme quantità che finisce nei cassonetti della spazzatura. Tra le iniziative per arginare il fenomeno spiccano gli imballaggi attivi, che conservano di più gli alimenti, e le doggy bag, distribuite nei ristoranti per portare a casa ciò che avanza.
Ma com’è il “quadro clinico” generale? Partiamo dai numeri. Il 5 febbraio è la Giornata nazionale contro lo spreco alimentare, un problema che riguarda tanti Paesi, tra cui l’Italia che indossa la maglietta nera. In tutto il mondo si butta oltre un terzo del cibo prodotto, nell’Unione Europea 180 kg a testa e nel Belpaese 149 kg pro-capite all’anno (dati One planet food).Si spreca al supermercato, in casa, nei ristoranti, nei forni, nelle pasticcerie, nei bar e così via: ovunque ci sia cibo una parte finisce nel cassonetto della spazzatura.
La tecnologia
Molti italiani per risolvere questo problema degli sprechi sognano di essere circondati da tecnologie intelligenti: l’85% da sistemi ottimali di pianificazione della spesa, c’è chi preferirebbe packaging smart in grado di segnalare la maggiore o minore freschezza degli alimenti e c’è chi vorrebbe avere sistemi sofisticati di controllo delle temperature del frigo. I dati emergono dal panel “Zero fame zero spreco, coltivare le buone pratiche” in occasione della sesta Giornata nazionale di prevenzione dello spreco.
In realtà, l’innovazione tecnologica è già dalla nostra parte. E lo dimostrano alcune invenzione che vanno in questa direzione, tra cui l’imballaggio Attivo che allunga la vita di frutta e verdura. È stato ideato da Bestack, il consorzio dei produttori italiani di imballaggi in cartone ondulato per ortofrutta, e il Dipartimento di Scienze e tecnologie agroalimentari dell’università di Bologna, dopo sette anni di studi e ricerche. Si tratta di un imballaggio in cartone ondulato che con tecnologie ad hoc viene “impregnato” di una miscela di estratti di componenti di oli essenziali 100% naturali dall’azione antimicrobica e regolatrice, così da posticipare i processi di marcescenza di frutta e verdura. Questa innovazione riduce gli scarti dalla produzione al consumo di oltre il 10%, a seconda dei prodotti e della stagionalità. Un risultato incoraggiante, considerando che l’ortofrutta è in testa alla classifica dello spreco sia lungo la filiera sia a casa del consumatore (dati campagna Spreco Zero di Last Minute Market).
Sempre nel comparto imballaggio spicca Pac, cioè packaging attivo cristallino, ed è un packaging a base di cristalli e oli essenziali per allungare la vita ai prodotti alimentari. Il progetto è dell'università di Parma e punta alla progettazione di materiali solidi cristallini a base di oli essenziali naturali che possano essere integrati nelle catene di produzione dei materiali per imballaggio, in modo da ottenere confezioni che rilasciando man mano gli oli essenziali e i partner molecolari prolunghino la sua conservazione.
Full-FrUit Long Life, invece, è il nome del progetto di Ortofruit Italia di Saluzzo e realizzato insieme all’Università di Torino che prolunga la durata soprattutto dei piccoli frutti, ricorrendo alle atmosfere controllate e modificate durante la conservazione in magazzino e il trasporto distributivo. Si utilizza un sistema ad Atmosfera Modificata Passiva realizzato con pellicola a permeabilità controllata, senza nessun ricorso a prodotti di sintesi chimici inquinanti, migliorando la conservazione di una materia prima molto delicata come i piccoli frutti e quindi garantendo la naturale genuinità e naturalezza, anche su lunghe distanze.
Doggy bag
I dati non sono incoraggianti: solo un italiano su tre quando esce dal ristorante a volte si porta a casa gli avanzi nella cosiddetta “doggy bag”, mentre il 18% lo fa raramente. Non è un’abitudine che ha preso piede in Italia, dove ci sono ancora delle resistenze culturali a questa pratica molto diffusa negli altri Paesi. Da noi la legge 166/16 sugli sprechi alimentari promuove “l’utilizzo da parte degli operatori nel settore della ristorazione, di contenitori riutilizzabili idonei a consentire ai clienti l’asporto degli avanzi di cibo”, ma mal si concilia con i pudori a richiedere gli avanzi del cibo acquistato nel ristorante.
“Molti ristoranti si sono attrezzati e in un numero crescente di locali, per evitare imbarazzi, si chiede riservatamente al cliente se desidera portare a casa il cibo o anche le bottiglie di vino non finite e si mettono a disposizione confezioni o vaschette ad hoc, però il 9% non la chiede perché viene ritenuta da poveracci e il 5% perché si vergogna, per fortuna che c’è un 28% di italiani non lascia alcun avanzo quando va a mangiare fuori”, si legge in una nota della Coldiretti.
Negli Stati Uniti la borsa con gli avanzi è una pratica nata negli anni ’40 ed è diventata una prassi naturale e consolidata tra la popolazione, tanto da coinvolgere anche i vip.
“In Francia c’è una norma che obbliga i ristoranti con più di 180 posti a sedere di avere in dotazione la doggy bag; l’abitudine di portarsi a casa gli avanzi è radicata anche in Cina, dove la richiesta del “dabao” (che significa “mi faccia un pacchetto”) è entrato nel galateo, e viene considerato un comportamento da persone educate”, conclude la Coldiretti.
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