L'addio di Shirel a 22 anni dopo la strage: cos'è il disturbo da stress post-traumatico e come si cura

Nelle settimane e nei mesi successivi, ha raccontato la famiglia Golan, Shirel aveva sviluppato sintomi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), tra cui dissociazione e isolamento

di Redazione

Shirel Golan era una ragazza di 22 anni sopravvissuta all'attacco di Hamas del 7 ottobre dell'anno scorso. La giovane purtroppo non è riuscita a superare lo stress post-traumatico così proprio nel giorno del suo compleanno, si è tolta la vita. Secondo il fratello lo Stato non le aveva offerto l'aiuto necessario per i problemi emotivi e mentali all'indomani di quel massacro, costato la vita a 1.400 persone. "Se lo Stato si fosse preso cura di lei, nulla di tutto questo sarebbe accaduto – ha dichiarato l’uomo ai media ebraici –. Lo Stato di Israele ha ucciso mia sorella due volte. Una volta in ottobre, mentalmente, e una seconda volta oggi, fisicamente". Shirel e il suo compagno Adi erano tra le centinaia di partecipanti al festival musicale Supernova nel deserto, vicino al kibbutz di Re'im. Inizialmente i due erano riusciti a raggiungere un’auto per allontanarsi dall'area, ma quando era stato chiaro che la fuga non era possibile avevano abbandonato il veicolo e si erano nascosti sotto un cespuglio e si erano salvati così. 

Non riusciva a superare il trauma

Ha raccontato sempre la famiglia Golan, che Shirel aveva sviluppato sintomi di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), tra cui dissociazione e isolamento. La ragazza è stata ricoverata due volte in ospedale, ma non è mai stata riconosciuta come affetta da questo tipo di patologia. Sempre il fratello ha detto: "Mia madre è stata costretta ad andare in pensione anticipata per stare accanto a sua figlia. Non ci siamo mossi di un millimetro da lei e l'unica volta che l'abbiamo lasciata sola è stato oggi, quando ha deciso di togliersi la vita", ha detto a Channel 12 news.

Cosa è il disturbo da stress post-traumatico 

Tutti noi abbiamo una sorta di archivio mentale, un sistema di difesa che ci permette di riconoscere e allontanare le minacce. Un gruppo di neuroscienziati della Columbia University ha infatti recentemente identificato come l’ippocampo gestisce le memorie legate alla paura. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience, offre nuove prospettive sui meccanismi cerebrali che influenzano la nostra vita quotidiana e la gestione di disturbi come l’ansia sociale e il disturbo da stress post-traumatico.

Come il cervello codifica le esperienze spaventose

Il team guidato dalla dottoressa Pegah Kassraian ha esaminato il comportamento di topi esposti a situazioni sociali stressanti. E' stato monitorata l'attività dell'ippocampo, una regione cerebrale essenziale per la memoria. Le scoperte hanno rivelato che questa area non solo registra informazioni su individui e contesti, ma è anche cruciale nel discernere se un soggetto rappresenta una minaccia o meno. “È fondamentale per tutte le specie sociali, dai topi agli esseri umani, mantenere memorie sociali che ci aiutino a evitare situazioni pericolose, pur rimanendo aperti a relazioni positive,” sottolinea Kassraian. La capacità di richiamare alla mente esperienze spaventose è dunque un elemento chiave per garantire la nostra sicurezza. Steven Siegelbaum, co-autore della ricerca, fa un'osservazione rilevante: “I sintomi di ansia sociale potrebbero derivare dalla difficoltà nel distinguere tra chi è pericoloso e chi non lo è.” Questa connessione tra memoria e ansia sociale suggerisce che una comprensione più approfondita di questi meccanismi potrebbe condurre a nuovi approcci terapeutici.

L'importanza della scoperta

In un'epoca in cui i disturbi d'ansia sono in crescita, approfondire come il cervello gestisca le emozioni e le esperienze sociali potrebbe rivelarsi cruciale per migliorare il benessere psicologico di molte persone.

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