Settimana del pianeta Terra, gli eventi per scoprire il fascino del sottosuolo
È iniziato il conto alla rovescia per la Settimana del pianeta Terra, il Festival nazionale che promuovere il patrimonio geologico italiano più spettacolare e poco conosciuto del Belpaese. Tra gli oltre 300 eventi, che andranno in scena lungo tutto lo Stivale dal 16 al 23 ottobre, spiccano le visite guidate dentro le miniere di oro, uranio e zolfo, luoghi dove il presente è fatto di passato.
In Sardegna nell'area di Arcu su Linnarbu in provincia di Cagliari è presente un piccolo giacimento di minerali d'uranio, studiato nella prima metà degli anni Settanta e oggi paradiso per i cercatori di minerali, considerato che sono state individuate numerose specie mineralogiche, alcune rare. Domenica 16 ottobre si può partecipare alla visita che si snoda lungo un sentiero fino alle porte delle gallerie di ricerca, mentre il sottosuolo rimarrà inaccessibile al pubblico a causa dell’aumento del livello di radioattività.
Durante la stessa giornata, nel nuorese apre le porte ai non addetti ai lavori il giacimento di Funtana Raminosa, miniera importante per la presenza di banchi di rocce scistose impregnate prevalentemente di mineralizzazioni di rame. Conosciuta probabilmente fin dall'epoca nuragica, il rinvenimento di vari reperti archeologici attestano che anche gli antichi Romani sfruttarono il giacimento, ma la vera attività di esplorazione, ricerca e produzione industriale inizia alla fine del 1800 e dura fino al 1983. Quattro anni più tardi, invece, la direzione di Funtana Raminosa è trasferita alla SIM, alla quale è legato il futuro della miniera. Dal punto di vista economico, i minerali estratti più significativi sono i solfuri di rame, zinco, piombo, cui si associano in quantità variabili argento e cadmio.
Nonostante la cessazione dell'attività industriale, l'insediamento minerario è in ottime condizioni di conservazione, grazie alla presenza degli ex-minatori, impegnati prima nei lavori di risanamento ambientale dell’area e dopo nelle iniziative industriali alternative a quelle minerarie. Lungo la strada asfaltata che conduce all’ingresso degli impianti è ancora visibile il villaggio minerario, con gli alloggi per i minatori e i vari servizi, dagli uffici alla mensa, dall’infermeria allo spaccio, fino alla palazzina della direzione, l’edificio più rappresentativo dell’insediamento industriale. Suggestiva, inoltre, l’ubicazione del complesso che sorge in una valle attraversata dal Rio Saraxinus ed è immersa in una folta vegetazione a macchia mediterranea, mentre il paesaggio circostante è arricchito dai rilievi carsici con grotte, doline, campi carreggiati e pareti strapiombanti.
Corsa all’oro
In Valle d’Aosta, a Brusson, in occasione della Settimana del Pianeta Terra è possibile visitare la miniera d'oro di Chamousira lunga oltre 1500 metri e attiva fino all'inizio del '900, i cui giacimenti pare fossero sfruttati già all'epoca dei Salassi, popolazione di origine celtica che fondò la città di Ivrea prima di essere sconfitta dai Romani.
Se le prime notizie documentali su queste miniere risalgono al XIII secolo, è solo a partire dalla fine dell’800 che le Compagnie Société des Mines de l’Evançon e The Evançon Gold Mining Company Limited riuscirono a sfruttare i giacimenti, arrivando a sviluppare l’attività su sette livelli con un avanzamento delle gallerie pari a circa 1570 m. A partire dal 1907 si registra però l’inizio del declino della miniera, l’attività si ridusse progressivamente fino a giungere nel 1911 all’abbandono dei lavori da parte della Compagnia inglese. In seguito le ricerche passarono in mano italiana e proseguirono fino al 1983, anno che segnò la chiusura definitiva delle attività.
Tornando al presente, nel 2015 si sono conclusi i lavori di recupero del sito di Chamousira, ora fruibile e meta per coloro che vogliono approfondire la conoscenza di giacimenti, qui tra luci scenografiche e postazioni multimediali, il percorso di visita nella galleria riporta i visitatori agli inizi del ‘900 nell’atmosfera quotidiana del lavoro dei minatori.
Alla scoperta delle zolfatare marchigiane
Nelle Marche il ricordo delle miniere di zolfo si può rispolverare con attività interattive e intermezzi letterari e musicali sul tema, l’appuntamento è al Museo della Scienza di Camerino.
Sebbene siano chiuse da oltre mezzo secolo, le zolfatare hanno costituito un distretto minerario di importanza mondiale, tanto che l'industria solfifera italiana, per secoli detenne il monopolio mondiale.
Dopo la Sicilia, la maggior industria estrattiva dello zolfo si è sviluppata nelle Marche, dove furono attive le due più grandi miniere d'Italia, Perticara (PU) e Cabernardi (AN), che si distinsero per l’importanza dei giacimenti, per lo sviluppo dei lavori e per i volumi di produzione. L'introduzione di metodologie estrattive innovative applicate a situazioni geologiche favorevoli come negli Stati Uniti e nel Golfo del Messico, nonché i recuperi da gas naturali e dalle raffinazioni degli idrocarburi, hanno incrementato la produzione di zolfo al punto di provocarne il crollo dei prezzi e la chiusura di tutti i distretti minerari italiani compreso quello marchigiano. Ma i giacimenti di zolfo marchigiano sono ancora lì, nel sottosuolo.
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