Psicologia del suicidio: il caso di Giovanna Pedretti, la gogna mediatica e i veri motivi che portano a togliersi la vita
Il suicidio resta un fenomeno enigmatico e angustiante. Meglio non banalizzarlo con terribili semplificazioni come nel dramma di Giovanna Pedretti a causa delle faide dei social network tra opinionisti, hater e inquisitori di ogni sorta
Il suicidio di Giovanna Pedretti, la titolare di una pizzeria accusata di aver falsificato la risposta a una recensione omofoba e handifoba per pubblicizzare il suo locale di Lodi, ha sconvolto l’opinione pubblica e innescato polemiche incessanti sull’uso contundente di post e commenti sui social.
Una gogna infernale
In molti additano come fomentatori del terribile gesto dell’imprenditrice giornalisti e influencer che hanno pubblicamente diffidato dell’autenticità dei messaggi diffusi dalla donna, scatenandole contro una gogna infernale. Così Giovanna Pedretti avrebbe deciso di togliersi la vita per sottrarsi al tam tam mediatico da prima incensante e dopo sentenziante.
Aggressione a mezzo media
Nella nostra società ormai immersa in Internet e infestata dai meccanismi sempre più insani dei mondi digitali, mondi dove basta un attimo per essere acclamati e meno ancora per subire la gogna. Il fenomeno dell’aggressione tramite media è talmente frequente da aver meritato una parola a se stante: “shitstorming” (“tempesta di sterco”). Allo stesso modo si parla correntemente di “hater”, di “troll” e di “leoni da tastiera” a significare che la Rete è infestata da dinamiche pericolose, forse letali.
Quadro psicologico complesso
Giovanna Pedretti non è la prima né l’ultima vittima dei verdetti dei social, ma come sempre accade il suo atto estremo deve collocarsi in un quadro psicologico di fragilità ben più complesso, trascurato e incompreso. Sembra che quando è scoppiata la polemica sulla recensione alla sua pizzeria la donna si trovasse già in una condizione emotiva delicata a causa del suicidio del fratello. Le rapide e violente sollecitazioni psicologiche verificatesi in co-occorrenza con la pubblicazione del post potrebbero, quindi, aver innescato l’impulso autodistruttivo. Ma qual è l’incidenza dei suicidi e quali sono i fattori psicologici coinvolti?
Epidemiologia del suicidio
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo si registra un suicidio ogni 40 secondi e un tentato suicidio ogni 23 secondi. 3780 i suicidi in Italia solo nel 2016 (Istat). Il numero degli uomini che si suicidano è superiore al numero di donne, mentre il suicidio, nell’arco del ciclo di vita, è più frequente tra gli anziani, anche se è tra le prime cause di decesso in adolescenza e nella prima età adulta.
Numeri impressionanti
Sono numeri impressionanti che devono portare a concludere che il suicidio sia un fenomeno multidimensionale, dipendente da fattori personali, familiari e sociali. Non il mero atto dell’individuo “pazzo” che si toglie la vita, né la reazione a un singolo episodio stressogeno come la vicenda della (forse) finta recensione della signora Pedretti.
I fattori coinvolti
I clinici di ogni orientamento hanno individuato più fattori coinvolti nell’ideazione e nell’atto suicidario. Alcuni fattori sono di tipo generale e obiettivo (per esempio, età, sesso, presenza di malattie croniche e invalidanti, storia familiare con casi di suicidio o marcati disturbi psichici), altri fattori sono di carattere psicopatologico, come disturbi depressivi, schizofrenici o disturbi di personalità. Infine, i fattori sociali: difficoltà economiche, isolamento sociale e solitudine, fragilità nell’identità professionale, erosione o rottura di legami affettivi significativi.
Tipologie di suicidio
L’antropologo e sociologo Emile Durkheim ha affrontato la tematica del suicidio in modo più ampio. Durkheim collega strettamente l’atto suicidario alla qualità delle relazioni sociali strutturate dalla persona: un eccessivo senso di “differenza”, “originalità”, “particolarità” e di alienazione rispetto alla società di riferimento configurano, secondo lo studioso francese, il suicidio egoistico.
Il suicidio altruistico
Viceversa, un conformismo eccessivo, l’adesione troppo rigida al gruppo di riferimento può comportare la perdita dell’identità e un senso di depersonalizzazione da cui può scaturire il suicidio altruistico. Il suicida altruista è mosso dalla volontà di compiere un atto salvifico per la società a cui appartiene, una sorta di rituale di purificazione dedicato alla collettività, in difesa dei valori della collettività stessa. Una terza possibilità è, nello schema interpretativo di Durkheim, il suicido anomico, correlato all’influsso degli squilibri e delle crisi sociali siano esse economiche o valoriali.
Gesti improvvisi o pianificati
Suicidi d’impulso e suicidi “pianificati”. I suicidi impulsivi agiscono sull’onda della disperazione, in modo imprevedibile e disorganizzato. Invece, i suicidi “pianificati” sono caratterizzati dall’esistenza di un programma, di un qualche schema comportamentale organizzato e riconoscibile, per esempio, dalla scelta del modo e del luogo, del momento e della data del suicidio; dalla scrittura di lettere e, prima dell’evento, dall’allusione a quanto accadrà.
I suicidi organizzati
Le persone che compiono suicidi organizzati appaiono di frequente “leggere” e “solari” nel periodo che precede il tragico gesto, forse proprio perché la “decisione di andarsene” allevia il loro male di vivere sin quasi all’ebbrezza.
Qualunque sia la prospettiva da cui lo osserviamo, il suicidio resta un fenomeno enigmatico e angustiante. Cerchiamo almeno di non banalizzarlo con terribili semplificazioni come sta accadendo nel dramma di Giovanna Pedretti a causa delle faide dei social network tra opinionisti, hater e inquisitori di ogni sorta.