Plastica nell'ambiente marino: un'emergenza da affrontare

Plastica nellambiente marino unemergenza da affrontare
di Stefania Elena Carnemolla

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Mari, laghi, fiumi e oceani invasi dalla plastica: un’emergenza ormai planetaria. Marine litter: da emergenza ambientale a potenziale risorsa è, ad esempio, il convegno organizzato a Roma da ENEA, l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo, in collaborazione con l’ Accademia dei Lincei e il Forum Plinianum per discutere di fonti di inquinamento, nuovi rischi tossicologici, risultati del monitoraggio delle plastiche nei laghi e nei mari, nuove prospettive per il riutilizzo del beach litter, materiali innovativi, campagne di sensibilizzazione, proposte di legge e progetti europei sul tema.

Presente per ENEA Loris Pietrelli del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali con una relazione sulle ipotesi di riutilizzo del beach litter, delle plastiche, cioè, ritrovate sulle spiagge. “Il Mar Mediterraneo non è ancora agli stessi livelli del Pacific Trash Vortex, l’isola di plastica nell’Oceano Pacifico” spiegano gli organizzatori del convegno “ma la plastica rappresenta già un problema ambientale da quantificare, conoscere ed affrontare”. Per il Mediterraneo si parla, ad esempio, di oltre 100.000 pezzi di plastica per chilometro quadrato. ENEA, dal canto suo, ha calcolato che l’80% dei rifiuti raccolti sulle spiagge italiane sono di materiale plastico, con i frammenti prodotti dalla degradazione delle plastiche, le microplastiche, che rappresentano “il 46% degli oggetti rinvenuti lungo le spiagge italiane, dove è stata stimata la presenza di almeno 100 milioni di cotton fioc” e con alcune località dove sono stati rinvenuti “fino a 18 oggetti di plastica per metro quadro”.

Tra plastiche e microplastiche disperse nell’ambiente marino il panorama non promette nulla di buono. Qualche esempio: le 700 mila microfibre di plastica, ricorda ENEA, che vengono scaricate in mare da un solo lavaggio di lavatrice, quindi le 24 tonnellate di microplastiche provenienti dai prodotti cosmetici di uso quotidiano e che ogni giorno vengono riversate nei mari europei, entrando nella catena alimentare: “Prodotti di degradazione delle plastiche” così, ENEA “sono stati rinvenuti, infatti, anche nel fegato di spigole e microplastiche persino nel sale da cucina: uno studio condotto sul pesce spada ha evidenziato che nei contenuti stomacali di alcuni esemplari sono stati ritrovati rifiuti marini che riflettono le tipologie di plastiche maggiormente presenti in ambiente marino”.

Le microplastiche, ad esempio, le loro dimensioni inferiori ai 5 millimetri fanno sì che non vengano trattenute dagli impianti di depurazione delle acque reflue: “La presenza delle plastiche in mare” spiega Loris Pietrelli “è in larga parte dovuta a una scorretta gestione dei rifiuti solidi urbani, alla mancata o insufficiente depurazione dei reflui urbani, a comportamenti individuali quotidiani inconsapevoli. Così facendo il rischio di trasformare i nostri mari in discariche è molto elevato. Secondo alcune ipotesi, entro il 2050 nel mare avremo più plastica che pesci”.

Le attività di ricerca di ENEA per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa delle plastiche raccolte in mare e lungo le spiagge hanno permesso di appurare come la maggior parte fosse costituita da “polimeri termoplastici come polietilene e polipropilene, materiali riciclabili in nuovi oggetti commercializzabili”, segno di una cattiva gestione del loro ciclo di vita.

E allora, che fare?

La ricetta c’è: pensando, spiega Loris Pitrelli, a una loro “gestione sostenibile”, dal recupero, al trattamento fino al riciclo, secondo un “circuito virtuoso” e un “mix di strategie all’insegna del riutilizzo-riuso-riciclo” che possa “valorizzare le potenzialità dei materiali a fine vita, oggi in massima parte sottovalutate”.

 

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01/12/2017
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