Altro che cento anni, il permafrost rischia di sparire in dieci. L'allarme del super esperto

Ha iniziato a sciogliersi ovunque. L'impatto del climate change in Yakutia è particolarmente grave perché lì 'il permafrost non solo è ricco di CO2 ma di metano, gas serra 25 volte più potente della CO2

di Redazione

Sempre peggio. 'La situazione è critica, abbiamo passato la soglia di stabilità: negli ultimi due anni infatti il permafrost ha iniziato a sciogliersi ovunque nella nostra regione'. Lo spiega all'ANSA Serghei Zimov, uno dei massimi esperti russi di permafrost e condirettore, insieme al figlio Nikita, della stazione di ricerca nord-orientale della Yakutia. 'Se il trend continua di questo passo - aggiunge - nei prossimi 10 anni il permafrost rischia di sparire del tutto'.

Altro che 100 anni

'Le previsioni - aggiunge - sostenevano che lo scioglimento sarebbe avvenuto fra 100 anni ma invece è già iniziato'. Serghei Zimov è anche il fondatore del Parco del Pleistocene, esperimento unico al mondo che tenta, attraverso l'introduzione nella regione artica di grandi erbivori, di ricreare l'ecosistema della steppa dei mammut e, così facendo, rallentare gli effetti del cambiamento climatico.

Il deterioramento

L'ANSA ha visitato il Parco e ha potuto constatare il deterioramento del permafrost nell'area di Chersky, che si trova oltre il circolo polare artico. L'impatto del climate change in Yakutia è particolarmente grave perché, sostiene Serghei, 'il nostro permafrost non solo è ricco di CO2 ma di metano, che è un gas serra 25 volte più potente dell'anidride carbonica'. 

Una condanna

Serghei Zimov parla piano, assicurandosi di tenere la sigaretta ben vicina alla bocca della stufa. Persino qui, ai confini del mondo, nel bel mezzo del circolo polare artico, il fumo ormai è demodé. Serghei ha la barba folta e grigia, i capelli raccolti in una lunga coda e potrebbe tranquillamente passare per un vecchio rocker. Invece è uno degli scienziati più famosi della Russia, il guru dell'Artico. La sua analisi sull'impatto del cambiamento climatico in Yakutia è una condanna senza appello. 'La situazione è critica, abbiamo passato la soglia di stabilità: negli ultimi due anni il permafrost ha iniziato a sciogliersi ovunque nella nostra regione'. Non è difficile capire perché.

'A luglio abbiamo fatto sci d'acqua... assurdo'. Nikita, suo figlio, indossa una t-shirt e una felpa. Il sole si sta tuffando nel fiume e a Chersky, a 130 chilometri dall'oceano artico, a fine agosto di giorno si gira in maniche di camicia. Serghei e Nikita insieme dirigono la Stazione di Ricerca Nordorientale, affiliata all'Accademia delle Scienze russa e uno dei tre centri di studio maggiori della regione artica. E sempre insieme - ma più Nikita - gestiscono il Parco del Pleistocene, fondato da Serghei nel 1996. Un luogo unico al mondo, che l'ANSA ha potuto visitare in esclusiva, primo media italiano a metterci piede. In pratica si tratta di una macchina del tempo. L'idea, infatti, è quella di ricreare l'ecosistema della steppa dei mammut e, così facendo, eliminare (o perlomeno mitigare) lo scioglimento del permafrost nonché ridurre la presenza di CO2 nell'atmosfera. Missione quanto mai cruciale perché, come spiega Serghei, il suolo della regione non solo è ricco di anidride carbonica 'ma anche di metano, un gas serra 25 volte più potente'. Dovesse scongelarsi tutto, il permafrost della Yakutia (o yedoma) rilascerebbe nell'atmosfera dal 20 al 100% delle emissioni di origine umana. 'Come minimo - dice Nikita - equivarrebbe all'inquinamento di tutti gli Stati Uniti'.

Uno scenario apocalittico

In pieno svolgimento. 'Le previsioni - nota Serghei - sostenevano che lo scioglimento sarebbe avvenuto fra 100 anni... invece è già iniziato. Se il trend continua di questo passo nei prossimi 10 anni il permafrost rischia di sparire del tutto'. Ed è qui che entra in scena il Parco del Pleistocene. Gli Zimov nel corso degli anni hanno introdotto nell'habitat artico grandi erbivori come yak, bisonti, buoi muschiati, vacche della Kalmykia, alci, renne e cavalli. La diffusione della foresta, in queste zone, sarebbe infatti avvenuta solo dopo l'arrivo degli esseri umani, circa 13mila anni fa. La ragione? La caccia estensiva. Che ha ridotto la megafauna di 10 volte, alterando l'ecosistema, riducendo così i pascoli e spianando la strada agli alberi. E questa è la prima sorpresa. Perché a tali latitudini, sostengono gli Zimov, fanno più male che bene.

'L'ecosistema attuale - spiega Nikita - trasferisce al suolo 10-16 kg di CO2 per metro quadrato. All'interno del primo recinto del Parco, dopo 20 anni, i dati parlano di una media 26 kg al metro, con punte di 65 chilogrammi. La potenzialità, stimiamo, è di ben 100 kg. Nella parte esterna del Parco, dove gli animali non brucano attivamente, arriviamo comunque a una media di 22 chilogrammi'. Tutto questo grazie al manto erboso, che riflette la luce, attira meno calore ed è più efficace nell'attirare l'anidride carbonica. Gli animali, poi, con la loro attività rompono l'effetto 'cappotto termico' della neve e mantengono più freddo il suolo. Risultato: nel Parco la temperatura del permafrost è minore di 3 gradi rispetto alle altre zone. E questo solo grazie a vacche e yak. 'Pensate - ridacchia Nikita - cosa potremmo fare se arriveranno i mammut'.

Qui il racconto si fa surreale

E in effetti girando per il Parco, dove il capo dei 'butteri' si chiama Rinaldo (ma è russo al 100%) e ogni cosa pare un soviet-mix alla Mad Max, sembra di essere caduti nella tana del Bianconiglio. Ma la realtà è che George Church, genetista di Harvard di fama mondiale, si è innamorato del progetto degli Zimov dopo essere stato ospite al Parco e ha messo insieme un team per riportare davvero in vita i mammut e portarli a Chersky. La svolta starebbe nell'uso di una nuova tecnica che di fatto modificherebbe le cellule dell'elefante asiatico - parente del mammut - rendendolo così in grado di resistere al gelo artico. Quasi un trucco, insomma. 'Io mi accontento, a me va bene anche se me ne danno uno a cinque zampe', scherza Nikita.

Il Parco, per quanto ormai esteso su una superficie di oltre 144 chilometri quadrati, è naturalmente troppo piccolo per avere un impatto su scala globale. Ma offre una soluzione pratica (ed economica) alla lotta contro il riscaldamento globale. Persino senza mammut. 'I mercati - chiosa Serghei - non permetteranno mai una reale riduzione delle emissioni. Per cui facciamo quel che possiamo: abbiamo dimostrato che il nostro modello funziona. Ma serve l'intervento della comunità internazionale'. E stando alle condizioni del permafrost riscontrate a Chersky, anche abbastanza in fretta.