Perché si grida quando si litiga? La confusione fra rabbia e paura, come non perdere il controllo
Quando litighiamo, possiamo percepire una minaccia emotiva. L’altro sembra non ascoltarci o, peggio, non comprenderci. La nostra mente interpreta questa mancanza di connessione come una distanza
Foto di Mandyme27 da Pixabay
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Ma perché, durante un litigio, per alcune persone la voce si alza fino a diventare grido, anche se le persone coinvolte sono vicine fisicamente? Non è questione di rabbia: dietro a questo comportamento si nasconde un meccanismo psicologico disfunzionale. Quando litighiamo, possiamo percepire una minaccia emotiva. L’altro sembra non ascoltarci o, peggio, non comprenderci. La nostra mente interpreta questa mancanza di connessione come una distanza, anche se siamo seduti una persona di fronte all’altra.
Differenze fra rabbia e aggressività
La nostra voce si alza nel tentativo di colmare uno spazio invisibile, come se aumentare il volume potesse ridurre la sensazione di non essere capiti: le urla non sono la rappresentazione di un’emozione, bensì della sua disregolazione! La disregolazione emotiva è ciò che accade (e varia da persona a persona) quando le emozioni che proviamo non sono più all’interno di uno spazio che possiamo tollerale e diventano per noi “troppo”. Spesso si scambia l’aggressività per rabbia – per esempio – ma è un errore: la rabbia è un’emozione primaria, istintiva, che viene in nostro aiuto quando vogliamo raggiungere un obiettivo, ma fra esso e noi si trova un ostacolo. L’aggressività, invece, è il sintomo di un essere umano che non è in controllo! Quando ci sentiamo attaccati o incompresi, l’incapacità di contenere o esprimere le nostre emozioni in modo funzionale ci fa urlare, dire cose che non pensiamo, piangere, bloccarci e così via.
Se perdi il controllo è paura, non rabbia
Come accade? Quando si perde il controllo, in realtà stiamo provando paura, non rabbia. E in risposta alla paura, il cervello entra in modalità di difesa. L’amigdala, la “centralina” delle reazioni emotive, sovrasta la corteccia prefrontale, che è invece responsabile del pensiero razionale. Ma si cosa abbiamo paura, allora? Delle nostre stesse emozioni, di quello che stiamo provando. È come se, nel momento di sentire a pieno un’emozione come la tristezza, la rabbia o la paura, fossimo bambini incapaci di gestire l’intensità del nostro sentire. E sai qual è la verità? In un certo senso lo siamo rimasti. Poiché durante la crescita, nessuna delle nostre figure genitoriali ci ha insegnato cosa fossero le emozioni, anzi, al contrario, spesso, hanno solo imposto di reprimerle: da qui nasce l’incapacità di viverle, poiché sconosciute, spaventose.
Cosa sono le emozioni e a cosa servono
Le emozioni non giungono a noi quasi mai da sole: la rabbia spesso si accompagna alla paura (di perdere qualcosa o qualcuno) e alla tristezza (di non sentirsi accettati o amati), le urla diventano così un tentativo maldestro di farci ascoltare, un’espressione di vulnerabilità. Ricorda: TUTTE le emozioni sono valide, i comportamenti che ne scaturiscono no, quelli sono responsabilità da maneggiare con cura. Dobbiamo imparare a distinguere ciò che proviamo da ciò che facciamo: la rabbia di non sentirsi capiti può essere espressa senza urla, la paura può essere condivisa senza aggressività. Esempio: al semaforo ho il diritto di provare rabbia e di spaventarmi se mi tagliano la strada, ma non ho il diritto di fare del male a nessuno. Le emozioni non sono nemiche: sono segnali fondamentali, messaggeri di bisogni. Il problema sorge quando non siamo capaci di modulare questa energia. Imparare a regolare le emozioni è quindi fondamentale: smettere di reprimerle, riconoscerle e dare loro uno spazio sicuro. Fermarsi per respirare, osservare ciò che sentiamo.
Perché urliamo
Quando litighiamo, non stiamo combattendo contro l’altro, ma contro l’invisibile: la nostra paura di non essere ascoltati, il nostro dolore di sentirci incompresi. Le urla sono un tentativo disperato di riprendere in mano una connessione che, sentiamo sfuggire: possiamo invece accogliere il nostro sentire, solo così possiamo restare presenti anche al sentire dell’Altro.
Il libro
«Lo sai cosa fa un desiderio quando viene negato? Si trasforma in un bisogno. Tutte le storie finiscono nello stesso modo, in queste pagine te lo dimostrerò, e capiremo insieme come partendo da questo concetto tu possa arrivare ad amare e a lasciarti amare, senza dover più fingere e dipendere, ma accogliendo chi sei e, un giorno per volta, trovare la felicità in te e nelle tue relazioni.» Si può provare a sperare di riuscire nell’amore, vivendolo come se fosse un compito, rendendosi conto tutti i giorni che non funzionerà. Non funzionerà perché l’amore è un lascito che ci è stato assegnato, e seppur non dobbiamo dimostrare di essere capaci di fare meglio, dobbiamo combattere per poterlo rendere nostro. Per quanto dolore abbiamo vissuto, per quanto amore e comprensione ci siano stati negati, ciò che dobbiamo cercare è la strada che ci porterà a capire qual è l’unica vera storia d’amore che non finirà e “andarcela a prendere”. Nel suo nuovo e attesissimo libro Perché finisce, edito da Sperling & Kupfer, Maria Beatrice Alonzi – autrice bestseller, esperta di reputazione, etica e cultura della comunicazione – ci accompagna per mano alla scoperta di noi stessi e della motivazione per le quali le storie finiscono o ci fanno soffrire: l’impossibilità di creare una reale connessione emotiva. Alonzi ci guiderà in un vero e proprio viaggio dentro i nostri ricordi, fino ad arrivare alla strada che conduce all’Altro, dove sceglieremo se proseguire insieme oppure... Nel volume il lettore è accompagnato a guardare dentro sé stesso, per capire cosa prova e cosa provano gli altri, avrà a disposizione uno strumento per imparare finalmente a comunicare «Che vi siate conosciuti da piccoli o da adulti, online o tramite amici comuni, che stiate insieme da anni o da poche settimane, senza un collegamento tra le vostre emozioni vi manca l’alfabeto con il quale parlare. E una relazione reale, che non si basa sull’accontentare i propri bisogni attraverso l’Altro, si può formare solo attraverso un dizionario comune.» Leggendo imparerà cosa sono le emozioni, a cosa servono, in che modo sono diverse dai sentimenti o dalle sensazioni, imparerà a dare il giusto nome a ciascuna di loro, a distinguere quelle primarie (involontarie) da quelle secondarie (in parte guidate dalle nostre credenze e valori), a distinguere la nostalgia dalla malinconia, la determinazione dalla rabbia e così via. «I nomi sono importanti: con i nomi ci sentiamo meno soli, perché usare i giusti nomi, le giuste parole, per descrivere le esperienze, aiuta a farle proprie e a ricordarle e, altrettanto, a saperle condividere, senza sentirsi alieni. I nomi e le parole – quelle specifiche – servono a spiegare a noi stessi e agli altri cosa proviamo, sentiamo, viviamo. Il linguaggio guida la connessione emotiva.» In che modo le emozioni primarie come la tristezza sono necessarie alla nostra sopravvivenza? Perché molte, come il disgusto, le reprimiamo? Lo sapevi che quello che chiami “sesto senso” in realtà è l’emozione chiamata “ansia”? E che ti aiuta, in effetti, a “vedere” il futuro? Nel libro troveremo le risposte a queste e molte altre domande che aiutano a smettere di sentirci persone sbagliate o rotte, trasformando, pagina dopo pagina, la nostra capacità di amare e di lasciarci amare. L’autrice, con la sua grande capacità divulgativa, ci spiega che non è amore se le sue idee diventano nostre, se curiamo per farci amare, se ci sostituiamo all’altro, se non ce ne andiamo perché abbiamo paura di fare del male, se i nostri obblighi si confondono con i nostri bisogni e cancellano i nostri desideri. «Perché per quanto romantica possa sembrare la nostra idea dell’amore, il romanticismo prevede vittime. E la vittima è il risultato della guerra, non della coppia.»
Maria Beatrice Alonzi è scrittrice, esperta di comunicazione, specializzata nella gestione della reputazione, cultura ed etica degli spazi digitali. Oltre la laurea in Scienze Umanistiche dell’Università Statale di Milano, ha un master in Tecniche e Metodi di Analisi Comportamentale e Analisi Scientifica del Comportamento non-verbale. È speaker di TEDx, relatrice per l'Università Sapienza di Roma e divulgatrice scientifica con focus sulla salute mentale.