Per un pugno di like, luci e ombre della vita da influencer
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Aristotele (IV secolo A.C.) scrisse nella sua “Politica” che “l'uomo è un animale sociale”, in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. L'essere umano è un animale sociale perché la società è la condizione che gli è necessaria per esprimere la propria personalità.
George Bernard Shaw asserì: “Se tu hai una mela e io ho una mela e ce le scambiamo, allora tu e io abbiamo sempre una mela ciascuno. Ma se tu hai un'idea e io ho un'idea e ce le scambiamo, allora entrambi abbiamo due idee”. Questa frase può in parte riassumere l'importanza dell'uso dei social perché condividere è una necessità dell'uomo.
Recenti ricerche (Tamir e Mitchell, 2012) hanno evidenziato come il 30-40% delle conversazioni tra persone ha come scopo la condivisione di esperienze personali. Infatti, l'opportunità di comunicare i propri pensieri ed emozioni agli altri (self-disclosure) impegna meccanismi neurali e cognitivi associati alla gratificazione personale.
Ma se prima le conversazioni tra persone avvenivano tramite uno scambio epistolare, una chiacchierata al telefono, uno scambio di opinioni davanti ad un caffè, oggi ancora prima dello confronto verbale, appare la foto postata sui social network. Nasce così una conversazione “virtuale” tra chi ha pubblicato la foto e coloro che commentano e mettono i “like”.
L'approvazione che accresce l'autostima
In taluni casi si può parlare di “like addiction” cioè il bisogno spasmodico di accumulare like: averne tanti equivale a tante approvazioni che accrescono l'autostima, la popolarità e quindi la sicurezza personale, mentre pochi like condizionano l'umore e l'autostima in negativo.
Internet ha cambiato radicalmente il modo di comunicare. Nella comunicazione virtuale ci sono tante variabili da considerare: la distanza fisica, il non sapere chi sta leggendo dall'altra parte dello schermo, la percezione dell'anonimato.
Questa comunicazione “innovativa” può cambiare le persone, in quanto la “versione social” è sicuramente migliore della “versione nella routine quotidiana” di se stessi.
L'immadige di sé sui social
La maggior parte delle persone mostra online una versione potenziata positivamente di sé, tenendo in disparte gli aspetti negativi. L'individuo è come su un palcoscenico dove gli spettatori ci sono ma invisibili.
Proprio questo tipo di comunicazione ha fatto emergere una nuova figura professionale, l'influencer: persona con un più o meno ampio seguito di pubblico che ha la nuove professioni e alla sua autorevolezza rispetto a determinate tematiche o aree di interesse.
Professione influencer
Spesso gli influencer condividono anche aspetti della propria vita privata, come Chiara Ferragni o Mariano di Vaio che mostrano con serenità foto dei figli e della loro famiglia, pur mantenendo un certo grado di riservatezza. Andrea Pinna (@leperledipinna), altro noto influencer, sceglie di condividere dettagli e pensieri anche più intimi della propria vita.
Tutto ciò fa parte del marketing che c'è dietro a queste figure professionali. Tanta visibilità, tanta pubblicità e tanti followers.
Si pensi a quanti adolescenti si ispirano a questi influencer e vorrebbero essere come loro.
No mobile phobia
Il 95% degli adolescenti ha almeno un profilo sui social network, contro il 77% dei preadolescenti. Il primo è stato aperto intorno ai 12 anni e la maggior parte di loro arriva a gestire in parallelo 5-6 profili, insieme a 2-3 app di messaggistica istantanea. Secondo i dati dell'Osservatorio Nazionale Adolescenza su oltre 8.000 ragazzi di circa 18 regioni italiane, circa 5 adolescenti su 10 dichiarano di trascorrere dalle 3 alle 6 ore extrascolastiche con lo smartphone in mano, il 16% dalle 7 alle 10 ore, mentre il 10% supera abbondantemente la soglia delle 10 ore. Inoltre, un'inquietante fobia sta prendendo piede: la nomofobia (no mobile phobia), legata all'eccessiva paura di rimanere senza telefono o senza connessione ad internet: ne soffrono quasi 8 adolescenti su 10 (La Repubblica, 21 marzo 2017).
L'uso spasmodico dei social però nasconde tante insidie, in quanto proprio la mancanza di contatto fisico con chi legge quanto pubblicato online, può aumentare il senso di disinibizione, di auto-indulgenza fino a sfociare nell'egocentrismo e nel narcisismo. Ciò che conta è apparire e apparire più spesso possibile.
Dipendenza da like e paura della solitudine
Il voler essere al centro dell'attenzione è un fattore che crea dipendenza e che deve essere alimentato quotidianamente. I “like” sono gratificazioni necessarie per stare bene. Il confine tra realtà e virtuale diventa nebuloso. Il piacere che deriva dalla condivisione della propria vita e dai feedback positivi alimenta questo meccanismo fino a quando la persona non riesce più a farne a meno rischiando di cominciare a soffrire di una vera e propria dipendenza.
Bisogna preoccuparsi quando la paura di non essere connessi e di rimanere fuori dalle interazioni social diventa esagerata oppure quando i messaggi sui social network diventano l'unico mezzo di scambio sostituendo l'interazione verbale faccia a faccia.
È a questo punto che la spasmodica ricerca di essere connessi in realtà rischia di far sentire più soli.