Olimpiadi: l'atleta e la sua prestazione
Ci siamo. Tra pochi giorni, per la precisione il 27 luglio 2012, avranno inizio a Londra i giochi olimpici, per la gioia degli sportivi, per i patriottici e per chi lo sport ama solo guardarlo. Per tutti noi è un grande evento e una grande emozione, ma proviamo a pensare a quanto si giocano gli atleti che negli anni di preparazione alle Olimpiadi hanno dato il massimo impegno che vedranno culminare in una grande vittoria o in una clamorosa sconfitta. L'atleta si gioca anni di preparazione in una manciata di secondi, in pochi minuti o talvolta in qualche ora. Quale percorso psicologico deve fare un atleta per arrivare pronto a questo grande evento? Quale deve essere il suo principale obiettivo durante la preparazione?
Generalmente, la gara è il momento di maggiore complessità, in cui l'atleta deve confrontarsi non solo con i suoi avversari atleti, ma anche con avversari d'altro tipo, forse più temibili. Tra questi, il primo avversario è il caso. Spesso diventa l'unico responsabile di una sconfitta, ma è compito dell'atleta prevenirlo e sconfiggerlo. Il secondo avversario è la 'via della complicazione'. Prima di una gara importante chi interagisce con un atleta di solito ha la tentazione di dargli un consiglio portando solo disordine nell'equilibrio dell'atleta. Il terzo avversario è il presentarsi di proprietà emergenti o epifenomeniche. È quindi importante non solo sapere come si è fatti, ma anche come si cambia a seconda delle circostanze (ambiente, avversari, evento, ecc.).
È importante che il percorso complessivo dell'atleta si svolga nell'ottica di un lavoro basato su continuo sviluppo e perfezionamento della performance, liberando quest'ultima dal risultato di classifica o dal cronometro. È necessario quindi che il soggetto sia stimolato e sostenuto nella sua crescita psicofisica, che comprende il desiderio di vittoria, ma che non diventa l'unico obiettivo accettabile. Ciò perché cercare solo la vittoria trasforma una pulsione sana e naturale di affermazione di sé in qualcosa di negativo, in quanto vincere diventa un obbligo.
Al contrario, è utile prendere in considerazione anche la possibilità di una sconfitta come presa di coscienza e impulso al miglioramento. Quando si vuole vincere ad ogni costo senza accettare la superiorità dell'avversario, si priva lo sport della sua magia e della sua purezza legate ad una sana competizione (Vercelli, 2009)
Una prestazione eccellente è prima di tutto una conquista su se stessi derivante dai tanti sacrifici fatti per lungo tempo.
Vincere e mantenere un titolo rispondendo positivamente alle aspettative del pubblico sono atti spesso dati per scontati, ma non è così semplice. Quanti atleti sono miseramente crollati di fronte alle aspettative che si erano create nei loro confronti? Dopo la gioia iniziale, prevale il timore di non riuscire a bissare il successo ottenuto e il timore della conseguente delusione negli altri.
Invece l'atleta non dovrebbe mai perdere di vista che anche una sconfitta può essere una vittoria laddove è l'esito della sua migliore performance in quell'occasione, mentre la vittoria dovrebbe essere un rinforzo per migliorare ancora la propria condizione psicofisica.
In tutto questo, non dimentichiamo che dietro un atleta c'è tutto un mondo composto da allenatori, staff, famiglia, giornalisti, pubblico, ecc. che va ad influire sulla sua stabilità emotiva e fisica. Purtroppo la smania di vincere che fa parte di una cultura centrata sulla massima prestazione, ha portato tanti sportivi a fare ricorso a qualsiasi mezzo pur di vincere, doping compreso, dimenticando il vero senso dello sport. Avere una mentalità onesta e leale che crede nell'impegno e nel talento e che sa accettare la sconfitta, preserva dall'uso eventuale di sostanze potenzianti per la prestazione. Colui che invece vorrà evitare, o quanto meno ridurre, la fatica degli allenamenti, evitare l'umiliazione della sconfitta e ottenere tutto e subito, sarà più portato a fare ricorso a sostanze dopanti.
L'atleta deve focalizzarsi non tanto sul piacere immediato della vittoria, ma piuttosto su quello duraturo dell'allenamento e della prestazione indipendentemente dal risultato. Oscillare continuamente tra delusioni e soddisfazioni, tra ansia da prestazione e gioia per la vittoria sono tutti elementi che minano l'autostima dello sportivo (Vercelli, 2009).
Di conseguenza, l'atleta che vuole fare una grande prestazione deve possedere tante qualità sia fisiche che psicologiche. In primo luogo il talento e un fisico adatto alla sua disciplina, coadiuvati da abilità psicologiche senza le quali non sarebbe un campione: elevata motivazione, grande fiducia in se stesso e nelle proprie capacità, obiettivi chiari e definiti, capacità di controllare e gestire le proprie emozioni, di far fronte ad eventi inattesi, di concentrazione e di visualizzare la propria prestazione.
In conclusione, permettetemi un po' di sano campanilismo. E allora forza: Cagnotto, Errani, Sensini, Schiavone, Pellegrini, Mastrangelo & Co, Magnini, Russo, Montano, Seppi, Nibali, Donato, Piccinini & Co, Vezzali, Rossi, Quintavalle e tutti gli altri campioni italiani. In fondo però facciamo il tifo anche per le grandi prestazioni che fanno sognare e rimanere increduli davanti all'espressione di tanta potenzialità del fisico umano.