Inquinamento elettromagnetico, come usare cellulare e tablet
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Non si vede e non si sente, per questo quello elettromagnetico è considerato un tipo di inquinamento invisibile i cui effetti sono ancora oggetto di studio. Quello che è certo, è che cellulari, smartphone e tablet sono fonti di campi elettromagnetici a bassa frequenza, e sono anche molto diffusi e utilizzati.
Per usarli al meglio ed evitare eccessive esposizioni, basterebbe seguire alcune indicazioni, quelle fornite dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa).
La regola numero uno è: distanza. Ma ci sono cattive abitudini a cui spesso non diamo peso. Vediamo quali. Partiamo, appunto, dalla ‘distanza’: evitare di tenere i cellulari a contatto con il corpo, quindi no allo smartphone infilato nelle tasche dei pantaloni o nel taschino della camicia. Non addormentarsi con il cellulare acceso troppo vicino alla testa, se proprio bisogna tenerlo in camera da letto è preferibile attivare la modalità aerea e porre il dispositivo a una distanza superiore a 1 metro. A mantenere la giusta distanza ci aiuta l’utilizzo dell’auricolare con il filo, il vivavoce e il ricorso agli sms ogni volta che è possibile. Ad ogni modo, meglio effettuare chiamate di breve durata, sotto i 5minuti, e alternare l’orecchio.
Meno campo, più radiazioni. Non tutti sanno che quando c’è poco campo aumentano le radiazioni perché il cellulare aumenta la sua potenza per fornire ugualmente un servizio al cliente. Quindi è meglio evitare le chiamate quando c’è poco segnale. Anche durante il tentativo di connessione il cellulare emette più radiazioni, meglio tenerlo lontano dalla testa fino alla risposta. Lo stesso discorso vale per l’utilizzo dei dispositivi in auto o in treno: anche qui il cellulare emette più radiazioni perché, saltando da una cella all’altra, varia anche la sua ricezione e quindi calano o aumentano le barre di segnale. Inoltre, all’interno di un’automobile si sviluppa l’effetto ‘gabbia di Faraday’: le radiazioni emesse dai cellulari all’interno dell’autovettura vengono trattenute dalla gabbia di ferro che non le fa uscire.
Capitolo wi-fi: quando possibile, suggerisce l’Snpa, spegnere la connessione wi-fi dal modem e utilizzare il più possibile quella via cavo. Nella versione wi-fi, stare a una distanza superiore a 1 metro dal modem nelle fasi di upload e download. Per vedere dei video, meglio scaricarli in locale e mettere lo strumento in modalità aerea, mentre per le chiamate è da preferire il vivavoce. Prediligere la linea telefonica fissa.
I bambini, poi, suggerisce l’Snpa (e in particolare Appa Bolzano e Arpa Friuli Venezia Giulia che al tema hanno dedicato spazi e contributi) non dovrebbero utilizzare cellulari, smartphone, tablet e cordless. Questi strumenti andrebbero tenuti a distanza visto che il loro corpo, ancora in fase di sviluppo, assorbe maggiormente la radiazione elettromagnetica rispetto a un adulto.
La regola di base, comunque, è: l’inquinamento elettromagnetico da cellulare scompare semplicemente spegnendo il telefono.
Pur non essendo ancora dimostrato il nesso causale tra insorgenza di tumori e uso di smartphone (nel 2011 Iarc e Oms definiscono l’esposizione a campi elettromagnetici a bassa frequenza come possibili cancerogeni), un effetto ben conosciuto è il riscaldamento dei tessuti nelle immediate vicinanze. “Cosa significa? Nulla se il tessuto vicino è un osso, molto se è una ghiandola – spiega Emma Bagnato, medico del lavoro e medico autorizzato Gruppo Asa, che ha realizzato un contributo per l’Arpa Friuli Venezia Giulia – Gonadi maschili e tiroide sono le due zone dove le ghiandole sono molto superficiali e quindi molto esposte eventualmente a un campo elettromagnetico generato da un cellulare”.
Poi, ci sono tutta una serie di disturbi: si va dalla cosiddetta “insonnia da monitor” ai disturbi d’ansia come la nomofobia, cioè la paura di non essere connessi, “che colpisce il 53% degli utilizzatori maschili di cellulare e il 48% delle donne”, sottolinea Bagnato; dalla “vibrazione fantasma”, cioè la sensazione che il cellulare stia vibrando o suonando quando non è vero, a disturbi più lenti nell’insorgenza come quelli legati alla cervicale e le rizoartrosi.